Interpretazione clausole contrattuali: i limiti al ricorso per Cassazione
Con la sentenza n. 3964 del 12 febbraio 2019, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha statuito come non sia possibile dolersi in sede di legittimità sulla scelta da parte del Giudice, che abbia preferito a fronte di due o più possibili interpretazioni di una clausola contrattuale, una di quelle non individuate dalla parte istante come la migliore.
Alla base di tale pronuncia da parte della Suprema Corte vi era quale unico motivo di ricorso in via principale ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n.3, la denunciata falsa applicazione degli articoli 1988,1341 del codice civile, oltre a denunciare in via incidentale l’omesso fatto decisivo per il giudizio ex. Art. 360, co.1, n.5
Orbene, in merito al primo motivo di doglianza, la Suprema corte di Cassazione ha così statuito: “Va per altro verso, quanto al merito, posto in rilievo che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’interpretazione del contratto (e in base al combinato disposto di cui agli artt. 1324,1362 c.c. e ss., all’interpretazione degli atti unilaterali: v., da ultimo, Cass., 6/5/2015, n. 9006) è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296). [..]i, il sindacato di legittimità può avere invero ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).
[…] il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).
Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295). Il primo di tali criteri (art. 1369 c.:.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale“) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).
Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).
Orbene, i suindicati principi risultano dalla corte di merito invero pienamente osservati nell’impugnata sentenza”.
Sul motivo in via incidentale, in cui le parti si lamentavano dell’esame da parte del giudice delle prove portate alla sua conoscenza all’interno del procedimento, la Corte ha così statuito: “Quanto al ricorso incidentale, atteso che la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sula domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, con la conseguenza che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronunzia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (v. Cass., 12/11/2018, n. 28995; Cass., 27/12/2013, n. 28663), va osservato che nella specie non ricorre invero né l’omessa pronunzia su questione nell’impugnata sentenza espressamente dichiarata assorbita né l’omessa motivazione in argomento, avendo la corte di merito ampiamente motivato in ordine alle ragioni che l’hanno condotta a qualificare la scrittura privata del 15/7/2006 in argomento non già come un contratto per adesione bensì in termini di ricognizione di debito ex art. 1988 c.c..
Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento del medesimo”.
La Corte di Cassazione con tale sentenza ha quindi rigettato entrambi i motivi lamentati nel ricorso per Cassazione e stabilito come non sia possibile appellarsi alla discrezionalità del giudice in ordine alla scelta di preferire un’interpretazione di una clausola contrattuale anziché un’altra.
Dott. Alessandro Amato
Interpretazione clausole contrattuali: i limiti al ricorso per Cassazione
Con la sentenza n. 3964 del 12 febbraio 2019, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha statuito come non sia possibile dolersi in sede di legittimità sulla scelta da parte del Giudice, che abbia preferito a fronte di due o più possibili interpretazioni di una clausola contrattuale, una di quelle non individuate dalla parte istante come la migliore.
Alla base di tale pronuncia da parte della Suprema Corte vi era quale unico motivo di ricorso in via principale ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n.3, la denunciata falsa applicazione degli articoli 1988,1341 del codice civile, oltre a denunciare in via incidentale l’omesso fatto decisivo per il giudizio ex. Art. 360, co.1, n.5
Orbene, in merito al primo motivo di doglianza, la Suprema corte di Cassazione ha così statuito: “Va per altro verso, quanto al merito, posto in rilievo che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’interpretazione del contratto (e in base al combinato disposto di cui agli artt. 1324,1362 c.c. e ss., all’interpretazione degli atti unilaterali: v., da ultimo, Cass., 6/5/2015, n. 9006) è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296). [..]i, il sindacato di legittimità può avere invero ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).
[…] il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).
Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295). Il primo di tali criteri (art. 1369 c.:.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale“) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).
Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).
Orbene, i suindicati principi risultano dalla corte di merito invero pienamente osservati nell’impugnata sentenza”.
Sul motivo in via incidentale, in cui le parti si lamentavano dell’esame da parte del giudice delle prove portate alla sua conoscenza all’interno del procedimento, la Corte ha così statuito: “Quanto al ricorso incidentale, atteso che la figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sula domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, con la conseguenza che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronunzia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa (v. Cass., 12/11/2018, n. 28995; Cass., 27/12/2013, n. 28663), va osservato che nella specie non ricorre invero né l’omessa pronunzia su questione nell’impugnata sentenza espressamente dichiarata assorbita né l’omessa motivazione in argomento, avendo la corte di merito ampiamente motivato in ordine alle ragioni che l’hanno condotta a qualificare la scrittura privata del 15/7/2006 in argomento non già come un contratto per adesione bensì in termini di ricognizione di debito ex art. 1988 c.c..
Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento del medesimo”.
La Corte di Cassazione con tale sentenza ha quindi rigettato entrambi i motivi lamentati nel ricorso per Cassazione e stabilito come non sia possibile appellarsi alla discrezionalità del giudice in ordine alla scelta di preferire un’interpretazione di una clausola contrattuale anziché un’altra.
Dott. Alessandro Amato
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