Published On: 18 Novembre 2018Categories: Articoli, News, Sergio Scicchitano

Liquidazione compensi degli avvocati: le novità dal Tribunale di Roma

Sembra essere finalmente giunta ad un punto di svolta la vicenda relativa al rigetto, da parte dei magistrati operanti nella Sezione Decreti Ingiuntivi del Tribunale di Roma, dei ricorsi monitori proposti per ottenere la liquidazione dei compensi maturati per l’attività professionale forense.

Il Foro romano, infatti, ha adottato una prassi penalizzante rispetto all’orientamento dei principali tribunali italiani, ritenendo che il parere di congruità emesso dal C.O.A. sia insufficiente a rendere liquido il credito e a giustificare l’emissione dell’ingiunzione.

In particolare, i giudici romani affermano che l’art.9, comma 5, del d.l. n. 1/2012 (così come convertito dalla l. n. 27/2012) abbia integralmente abrogato, oltre le vecchie tariffe professionali, anche l’efficacia riconosciuta al parere di congruità della parcella rilasciato dal C.O.A. ai sensi dell’art. 636 c.p.c.

Contro questa interpretazione, tuttavia, il C.N.F. ha più volte precisato che la portata abrogativa dell’art. 9 di cui sopra non abbia inciso sul potere di opinamento del Consiglio dell’Ordine e, quindi, sulla “necessità di produrre, al fine di ottenere il decreto ingiuntivo, la parcella accompagnata dal parere della competente associazione professionale” (parere n. 112 del 23.10.2013) ma, tutt’al più, sul criterio di determinazione del compenso basato sulle sole tariffe professionali.

La legge n. 124 del 4.8.2017 (modificando il comma 4 dell’art. 9 di cui sopra) ha inoltre predisposto, sin dal momento del conferimento dell’incarico, l’obbligatorietà della pattuizione del compenso nelle forme previste dall’ordinamento per le prestazioni professionali. Da ciò deriva, quindi, il dovere per il professionista di rendere note al cliente non solo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili per la durata dell’intero rapporto, ma anche l’importo inerente al proprio compenso accompagnato, per giunta, da un preventivo di massima.

A seguito di tale introduzione normativa, pertanto, con riferimento all’emissione di un decreto ingiuntivo per la mancata riscossione di oneri professionali, sono emersi due orientamenti giurisprudenziali tra loro contrapposti. L’uno, proprio del Tribunale di Roma, ha ritenuto implicitamente abrogato il potere di opinamento delle associazioni professionali; il secondo, per converso, maggioritario e confermato da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (ordinanza 15 gennaio 2018 n. 712), ha precisato che “ai fini dell’emissione della pronuncia di ingiunzione ex art. 636 c.p.c. la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcelle e del relativo parere della competente associazione”.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, tale parere di congruità rappresenterebbe una prova privilegiata ed avente carattere vincolante per il giudice monitorio, sebbene non possa essere considerato di per sé idoneo nell’ambito del successivo ed eventuale giudizio di opposizione, il quale, diversamente, segue le norme ordinarie della cognizione e riversa sull’opposto l’onere di fornire tutti gli elementi costitutivi della pretesa azionata.

In ragioni di tali divergenze che hanno creato ormai da tempo delle criticità tra gli esperti del settore, si è svolto di recente un importante incontro tra le cariche apicali del COA ed il Presidente del Tribunale di Roma, ove è stato richiesto un intervento diretto volto a modificare tale interpretazione svantaggiosa.

Sul punto, il dott. Monastero, Presidente del Tribunale di Roma, ha reso noto di aver già ricevuto una relazione dai magistrati competenti e di aver, inoltre, disposto una riunione con tutti i componenti della Sezione VII al fine di giungere ad una linea ermeneutica comune e affine a quella adottata dal resto dei tribunali italiani.

Prof. Avv. Sergio Scicchitano

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Liquidazione compensi degli avvocati: le novità dal Tribunale di Roma

Sembra essere finalmente giunta ad un punto di svolta la vicenda relativa al rigetto, da parte dei magistrati operanti nella Sezione Decreti Ingiuntivi del Tribunale di Roma, dei ricorsi monitori proposti per ottenere la liquidazione dei compensi maturati per l’attività professionale forense.

Il Foro romano, infatti, ha adottato una prassi penalizzante rispetto all’orientamento dei principali tribunali italiani, ritenendo che il parere di congruità emesso dal C.O.A. sia insufficiente a rendere liquido il credito e a giustificare l’emissione dell’ingiunzione.

In particolare, i giudici romani affermano che l’art.9, comma 5, del d.l. n. 1/2012 (così come convertito dalla l. n. 27/2012) abbia integralmente abrogato, oltre le vecchie tariffe professionali, anche l’efficacia riconosciuta al parere di congruità della parcella rilasciato dal C.O.A. ai sensi dell’art. 636 c.p.c.

Contro questa interpretazione, tuttavia, il C.N.F. ha più volte precisato che la portata abrogativa dell’art. 9 di cui sopra non abbia inciso sul potere di opinamento del Consiglio dell’Ordine e, quindi, sulla “necessità di produrre, al fine di ottenere il decreto ingiuntivo, la parcella accompagnata dal parere della competente associazione professionale” (parere n. 112 del 23.10.2013) ma, tutt’al più, sul criterio di determinazione del compenso basato sulle sole tariffe professionali.

La legge n. 124 del 4.8.2017 (modificando il comma 4 dell’art. 9 di cui sopra) ha inoltre predisposto, sin dal momento del conferimento dell’incarico, l’obbligatorietà della pattuizione del compenso nelle forme previste dall’ordinamento per le prestazioni professionali. Da ciò deriva, quindi, il dovere per il professionista di rendere note al cliente non solo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili per la durata dell’intero rapporto, ma anche l’importo inerente al proprio compenso accompagnato, per giunta, da un preventivo di massima.

A seguito di tale introduzione normativa, pertanto, con riferimento all’emissione di un decreto ingiuntivo per la mancata riscossione di oneri professionali, sono emersi due orientamenti giurisprudenziali tra loro contrapposti. L’uno, proprio del Tribunale di Roma, ha ritenuto implicitamente abrogato il potere di opinamento delle associazioni professionali; il secondo, per converso, maggioritario e confermato da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (ordinanza 15 gennaio 2018 n. 712), ha precisato che “ai fini dell’emissione della pronuncia di ingiunzione ex art. 636 c.p.c. la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcelle e del relativo parere della competente associazione”.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, tale parere di congruità rappresenterebbe una prova privilegiata ed avente carattere vincolante per il giudice monitorio, sebbene non possa essere considerato di per sé idoneo nell’ambito del successivo ed eventuale giudizio di opposizione, il quale, diversamente, segue le norme ordinarie della cognizione e riversa sull’opposto l’onere di fornire tutti gli elementi costitutivi della pretesa azionata.

In ragioni di tali divergenze che hanno creato ormai da tempo delle criticità tra gli esperti del settore, si è svolto di recente un importante incontro tra le cariche apicali del COA ed il Presidente del Tribunale di Roma, ove è stato richiesto un intervento diretto volto a modificare tale interpretazione svantaggiosa.

Sul punto, il dott. Monastero, Presidente del Tribunale di Roma, ha reso noto di aver già ricevuto una relazione dai magistrati competenti e di aver, inoltre, disposto una riunione con tutti i componenti della Sezione VII al fine di giungere ad una linea ermeneutica comune e affine a quella adottata dal resto dei tribunali italiani.

Prof. Avv. Sergio Scicchitano

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