Published On: 7 Settembre 2018Categories: IMPRESE

Il piano di risanamento

Occorre partire dalla considerazione che l’imprenditore non entra in “crisi” dall’oggi al domani.

La cosiddetta “pre-crisi”, infatti, è anch’essa una fase della storia dell’impresa ed è destinata a durare nel tempo, a volte per mesi o, addirittura, per anni, fino ad evolversi in una crisi conclamata che se trascurata si traduce a sua volta in insolvenza.

Allo stesso modo anche il superamento dello stato di crisi richiede del tempo e l’adozione di strumenti che, nel loro complesso, costituiscono gli elementi di un percorso graduale.

L’imprenditore in crisi pertanto, se intende uscire da tale status deve essere in grado di guardare con occhio clinico nel futuro della propria impresa e quindi di prevenire, in un’ottica prospettica, i possibili sviluppi della sua attività. 

Questo vuol dire essere in grado di pianificare l’intero percorso occorrente per uscire dalla crisi, seguendo un modello di programmazione.

Infatti, solo una visione prospettiva ed una pianificazione a lungo termine consentono all’imprenditore di individuare in anticipo i possibili momenti di crisi e di porre conseguentemente in essere tutti i rimedi occorrenti per neutralizzarne gli effetti.

Pertanto il risanamento di una crisi di impresa richiede l’elaborazione di un programma operativo e, conseguentemente, la predisposizione di un piano.

Tali nozioni dovrebbero essere note a qualunque imprenditore in quanto quello che nella vita ordinaria di un’impresa in bonis viene normalmente definito “piano industriale”, se proiettato in uno stato di crisi dell’impresa diventa un “piano di risanamento” per non fallire, per sopravvivere e, perché no, per tornare a prosperare.

Nonostante la diversità della denominazione, infatti, a fondamento sia dell’uno che dell’altro tipo di piano vi è proprio un’attività di programmazione.

Ne consegue che dalla crisi si esce solo attraverso l’elaborazione di un “piano di risanamento” ed infatti, esaminando con la dovuta attenzione la stessa legge fallimentare, ci si rende agevolmente conto del fatto che  – a partire dal 2005 ad oggi – proprio il “piano di risanamento” è stato messo dal legislatore al centro di qualunque rimedio o strumento di composizione della crisi di impresa (piano attestato di risanamento previsto dall’art. 67 della Legge Fallimentare, il concordato preventivo previsto dagli artt. 160 e segg. della Legge Fallimentare, gli “accordi di ristrutturazione” di cui all’art. 182 bis della Legge Fallimentare ecc…), sia che si tratti di rimedi consistenti nel garantire la conservazione del patrimonio aziendale, sia che si tratti di strumenti di tipo liquidatorio.

Occorre guardare pertanto a tale possibilità con ottimismo trasformando il concetto stesso della “possibilità” in “opportunità”.

In tale prospettiva, ovviamente, non deve tralasciarsi il fatto che l’ausilio di un professionista esperto è sicuramente in grado di favorire l’elaborazione di un programma di risanamento dell’impresa che sia munito di buone probabilità di successo.

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Occorre partire dalla considerazione che l’imprenditore non entra in “crisi” dall’oggi al domani.

La cosiddetta “pre-crisi”, infatti, è anch’essa una fase della storia dell’impresa ed è destinata a durare nel tempo, a volte per mesi o, addirittura, per anni, fino ad evolversi in una crisi conclamata che se trascurata si traduce a sua volta in insolvenza.

Allo stesso modo anche il superamento dello stato di crisi richiede del tempo e l’adozione di strumenti che, nel loro complesso, costituiscono gli elementi di un percorso graduale.

L’imprenditore in crisi pertanto, se intende uscire da tale status deve essere in grado di guardare con occhio clinico nel futuro della propria impresa e quindi di prevenire, in un’ottica prospettica, i possibili sviluppi della sua attività. 

Questo vuol dire essere in grado di pianificare l’intero percorso occorrente per uscire dalla crisi, seguendo un modello di programmazione.

Infatti, solo una visione prospettiva ed una pianificazione a lungo termine consentono all’imprenditore di individuare in anticipo i possibili momenti di crisi e di porre conseguentemente in essere tutti i rimedi occorrenti per neutralizzarne gli effetti.

Pertanto il risanamento di una crisi di impresa richiede l’elaborazione di un programma operativo e, conseguentemente, la predisposizione di un piano.

Tali nozioni dovrebbero essere note a qualunque imprenditore in quanto quello che nella vita ordinaria di un’impresa in bonis viene normalmente definito “piano industriale”, se proiettato in uno stato di crisi dell’impresa diventa un “piano di risanamento” per non fallire, per sopravvivere e, perché no, per tornare a prosperare.

Nonostante la diversità della denominazione, infatti, a fondamento sia dell’uno che dell’altro tipo di piano vi è proprio un’attività di programmazione.

Ne consegue che dalla crisi si esce solo attraverso l’elaborazione di un “piano di risanamento” ed infatti, esaminando con la dovuta attenzione la stessa legge fallimentare, ci si rende agevolmente conto del fatto che  – a partire dal 2005 ad oggi – proprio il “piano di risanamento” è stato messo dal legislatore al centro di qualunque rimedio o strumento di composizione della crisi di impresa (piano attestato di risanamento previsto dall’art. 67 della Legge Fallimentare, il concordato preventivo previsto dagli artt. 160 e segg. della Legge Fallimentare, gli “accordi di ristrutturazione” di cui all’art. 182 bis della Legge Fallimentare ecc…), sia che si tratti di rimedi consistenti nel garantire la conservazione del patrimonio aziendale, sia che si tratti di strumenti di tipo liquidatorio.

Occorre guardare pertanto a tale possibilità con ottimismo trasformando il concetto stesso della “possibilità” in “opportunità”.

In tale prospettiva, ovviamente, non deve tralasciarsi il fatto che l’ausilio di un professionista esperto è sicuramente in grado di favorire l’elaborazione di un programma di risanamento dell’impresa che sia munito di buone probabilità di successo.

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