L’azione revocatoria e l’azione revocatoria fallimentare
Le azioni revocatorie dirette alla dichiarazione di inefficacia di un atto di disposizione idoneo a ledere la garanzia patrimoniale che, per il creditore, è rappresentata dal patrimonio del debitore sono disciplinate sia dal codice civile che dalla legge fallimentare, che a tal fine prevedono le seguenti tipologie di revocatoria:
– azione revocatoria ordinaria ex art 2901 c.c. è l’azione esercitata da quel creditore il cui diritto di credito si assume essere stato violato da un atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal debitore.
L’azione in discorso tende, da un punto di vista teleologico, a far dichiarare inefficace un atto dispositivo con il quale il debitore ha depauperato il proprio patrimonio o, in ogni caso, ha reso per il suo creditore più difficile l’avvio di azioni esecutive sullo stesso.
Il creditore che propone l’azione revocatoria dovrà, per ottenerne l’accoglimento, dimostrare la sussistenza congiunta di due elementi:
1) il primo oggettivo, ovvero il c.d. “eventus damni” consistente in un concreto pregiudizio arrecato, dall’impugnato atto dispositivo, alle ragioni di credito;
2) quello soggettivo da ricondurre alla sfera comportamentale del debitore che ha posto in essere l’atto dispositivo (scientia fraudis), ovvero la consapevolezza di provocare con l’atto dispositivo “l’eventus damni”.
Nel caso in cui l’atto di disposizione posto in essere dal debitore sia un atto a titolo oneroso, tale consapevolezza deve essere propria anche dal terzo beneficiario dell’atto dispositivo (c.d. partecipatio fraudis).
Invece, nel caso in cui l’atto dispositivo posto in essere dal debitore sia un atto a titolo gratuito (ad esempio una donazione), il creditore che avvia l’azione revocatoria non dovrà dimostrare che il terzo beneficiario dell’atto a titolo gratuito era consapevole del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori del proprio dante causa.
-Azione revocatoria ordinaria ex.artt.66 l. fall.:
In questo caso si prende in considerazione la domanda di inefficacia dell’atto dispositivo posta in essere non dal singolo creditore, le cui possibilità di soddisfazione sono state pregiudicate, ma bensì dal curatore fallimentare ovvero dal commissario liquidatore nel caso di L.c.a., quali soggetti che assumono la capacità processuale in occasione di una procedura concorsuale.
In tal caso il curatore fallimentare (nel caso di fallimento) o il commissario liquidatore (nel caso di un’impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa) esercitano l’azione revocatoria in rappresentanza dell’intero ceto creditorio ammesso al passivo concorsuale.
La caratteristica infatti dell’azione in commento è rappresentata dal bene tutelato dalla norma che la disciplina ovvero la “parcondicio creditorum”, consistente nella necessità di salvaguardare le ragioni non di un solo creditore ma bensì della massa dei creditori del soggetto fallito.
– L’art 66 della legge fallimentare trasla l’azione ex art. 2901c.c. in materia fallimentare attribuendogli delle caratteristiche che la rendono un’azione ibrida.
La prima differenza rispetto all’azione revocatoria ex art. 2901 del codice civile consistente come già detto nell’identificazione del soggetto legittimato ad esercitarla: il curatore fallimentare e non il creditore.
La seconda differenza riguarda invece la competenza ad esaminare e decidere la domanda, che è attribuita rispettivamente al tribunale fallimentare per l’azione ex art.66 l.fall. e al tribunale ordinario per l’azione ex art.2901c.c.
Passando alla terza tipologia di revocatoria ovvero la c.d. “revocatoria fallimentare” disciplinata dall’art.67 della legge fallimentare si rileva che le sue caratteristiche sono le seguenti:
È un’azione giudiziale personale tipica e con natura ripristinatoria della garanzia patrimoniale del debitore fallito, in quanto diretta a ricondurre nel patrimonio dello stesso tutti quei beni divenuti oggetto di disposizione in violazione della parcondicio creditorum.
Elemento oggetto di particolare interesse è il cosiddetto “periodo sospetto” riferibile all’intervallo di tempo in cui devono essere stati compiuti gli atti del fallito che si vogliono revocare, ovvero un anno o sei mesi prima della dichiarazione di fallimento a seconda della tipologia dell’atto revocando.
Ad un tale riguardo si precisa che i predetti intervalli temporali sono stato oggetto della riforma fallimentare del 2005, che ha comportato un drastico dimezzamento del periodo sospetto rilevante per l’esperibilità dell’azione: da due anni ad un anno e da un anno a sei mesi.
Sempre relativamente all’azione revocatoria fallimentare si evidenzia che un altro e primario requisito da ricollegare al periodo sospetto – e legittimante l’esercizio dell’azione – è la sussistenza dello stato di insolvenza del debitore.
Infatti, ad un tale riguardo, si evidenzia che secondo la più consolidata giurisprudenza la legge fallimentare ha istituito una presunzione assoluta “iuris et de iure” di insolvenza dell’imprenditore nel c.d. “periodo sospetto”, con ciò significando che se l’atto dispositivo è stato compiuto un anno o sei mesi prima del fallimento si presume che – nel momento in cui l’atto è stato posto in essere – il debitore si trovasse in uno stato di insolvenza. Tale presunzione non ammetta prova contraria.
Secondo un orientamento minoritario invece la predetta prova contraria sarebbe dimostrabile dal terzo convenuto in revocatoria.
Strettamente legato allo stato di insolvenza è l’argomento riguardante la ripartizione dell’onere probatorio in ordine conoscibilità, da parte del terzo destinatario dell’atto dispositivo, del pregiudizio che l’atto reca alle ragioni dei creditori (e dunque implicitamente dello stato di insolenza del debitore nel momento in cui ha disposto del proprio patrimonio).
Ante tale requisito, la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo, è infatti un requisito essenziale della revocatoria fallimentare.
Irrilevante invece in tale tipologia di azione è la conoscenza da parte del debitore fallito su quale come detto grava una presunzione assoluta di insolvenza e dunque di consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori.
Ultimo aspetto da affrontare riguarda un approfondimento circa la legittimazione attiva per l’esperimento della revocatoria fallimentare che come detto spetta al curatore.
L’azione è diretta nei riguardi del terzo avente causa del fallito, cioè l’accipiens del pagamento o destinatario dell’atto revocabile.
Si tratta di una legittimazione esclusiva del curatore che come tale comporta un divieto di ammissione dell’intervento in causa dei creditori del fallito e tanto più la loro sostituzione al primo a mezzo di una azione surrogatoria in caso di inerzia del medesimo.
Va sottolineato che il curatore deve ottenere apposita autorizzazione dal giudice delegato per l’esercizio dell’azione con l’indicazione specifica degli atti revocabili; l’eventuale mancanza di tale autorizzazione può essere però sanata in un secondo momento con efficacia ex tunc.
Le azioni revocatorie contemplate dalla legge fallimentare sono soggette ad un termine di decadenza, in quanto non possono essere esercitate una volta decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e, comunque, decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.
FL + SL
L’azione revocatoria e l’azione revocatoria fallimentare
Le azioni revocatorie dirette alla dichiarazione di inefficacia di un atto di disposizione idoneo a ledere la garanzia patrimoniale che, per il creditore, è rappresentata dal patrimonio del debitore sono disciplinate sia dal codice civile che dalla legge fallimentare, che a tal fine prevedono le seguenti tipologie di revocatoria:
– azione revocatoria ordinaria ex art 2901 c.c. è l’azione esercitata da quel creditore il cui diritto di credito si assume essere stato violato da un atto di disposizione patrimoniale posto in essere dal debitore.
L’azione in discorso tende, da un punto di vista teleologico, a far dichiarare inefficace un atto dispositivo con il quale il debitore ha depauperato il proprio patrimonio o, in ogni caso, ha reso per il suo creditore più difficile l’avvio di azioni esecutive sullo stesso.
Il creditore che propone l’azione revocatoria dovrà, per ottenerne l’accoglimento, dimostrare la sussistenza congiunta di due elementi:
1) il primo oggettivo, ovvero il c.d. “eventus damni” consistente in un concreto pregiudizio arrecato, dall’impugnato atto dispositivo, alle ragioni di credito;
2) quello soggettivo da ricondurre alla sfera comportamentale del debitore che ha posto in essere l’atto dispositivo (scientia fraudis), ovvero la consapevolezza di provocare con l’atto dispositivo “l’eventus damni”.
Nel caso in cui l’atto di disposizione posto in essere dal debitore sia un atto a titolo oneroso, tale consapevolezza deve essere propria anche dal terzo beneficiario dell’atto dispositivo (c.d. partecipatio fraudis).
Invece, nel caso in cui l’atto dispositivo posto in essere dal debitore sia un atto a titolo gratuito (ad esempio una donazione), il creditore che avvia l’azione revocatoria non dovrà dimostrare che il terzo beneficiario dell’atto a titolo gratuito era consapevole del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori del proprio dante causa.
-Azione revocatoria ordinaria ex.artt.66 l. fall.:
In questo caso si prende in considerazione la domanda di inefficacia dell’atto dispositivo posta in essere non dal singolo creditore, le cui possibilità di soddisfazione sono state pregiudicate, ma bensì dal curatore fallimentare ovvero dal commissario liquidatore nel caso di L.c.a., quali soggetti che assumono la capacità processuale in occasione di una procedura concorsuale.
In tal caso il curatore fallimentare (nel caso di fallimento) o il commissario liquidatore (nel caso di un’impresa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa) esercitano l’azione revocatoria in rappresentanza dell’intero ceto creditorio ammesso al passivo concorsuale.
La caratteristica infatti dell’azione in commento è rappresentata dal bene tutelato dalla norma che la disciplina ovvero la “parcondicio creditorum”, consistente nella necessità di salvaguardare le ragioni non di un solo creditore ma bensì della massa dei creditori del soggetto fallito.
– L’art 66 della legge fallimentare trasla l’azione ex art. 2901c.c. in materia fallimentare attribuendogli delle caratteristiche che la rendono un’azione ibrida.
La prima differenza rispetto all’azione revocatoria ex art. 2901 del codice civile consistente come già detto nell’identificazione del soggetto legittimato ad esercitarla: il curatore fallimentare e non il creditore.
La seconda differenza riguarda invece la competenza ad esaminare e decidere la domanda, che è attribuita rispettivamente al tribunale fallimentare per l’azione ex art.66 l.fall. e al tribunale ordinario per l’azione ex art.2901c.c.
Passando alla terza tipologia di revocatoria ovvero la c.d. “revocatoria fallimentare” disciplinata dall’art.67 della legge fallimentare si rileva che le sue caratteristiche sono le seguenti:
È un’azione giudiziale personale tipica e con natura ripristinatoria della garanzia patrimoniale del debitore fallito, in quanto diretta a ricondurre nel patrimonio dello stesso tutti quei beni divenuti oggetto di disposizione in violazione della parcondicio creditorum.
Elemento oggetto di particolare interesse è il cosiddetto “periodo sospetto” riferibile all’intervallo di tempo in cui devono essere stati compiuti gli atti del fallito che si vogliono revocare, ovvero un anno o sei mesi prima della dichiarazione di fallimento a seconda della tipologia dell’atto revocando.
Ad un tale riguardo si precisa che i predetti intervalli temporali sono stato oggetto della riforma fallimentare del 2005, che ha comportato un drastico dimezzamento del periodo sospetto rilevante per l’esperibilità dell’azione: da due anni ad un anno e da un anno a sei mesi.
Sempre relativamente all’azione revocatoria fallimentare si evidenzia che un altro e primario requisito da ricollegare al periodo sospetto – e legittimante l’esercizio dell’azione – è la sussistenza dello stato di insolvenza del debitore.
Infatti, ad un tale riguardo, si evidenzia che secondo la più consolidata giurisprudenza la legge fallimentare ha istituito una presunzione assoluta “iuris et de iure” di insolvenza dell’imprenditore nel c.d. “periodo sospetto”, con ciò significando che se l’atto dispositivo è stato compiuto un anno o sei mesi prima del fallimento si presume che – nel momento in cui l’atto è stato posto in essere – il debitore si trovasse in uno stato di insolvenza. Tale presunzione non ammetta prova contraria.
Secondo un orientamento minoritario invece la predetta prova contraria sarebbe dimostrabile dal terzo convenuto in revocatoria.
Strettamente legato allo stato di insolvenza è l’argomento riguardante la ripartizione dell’onere probatorio in ordine conoscibilità, da parte del terzo destinatario dell’atto dispositivo, del pregiudizio che l’atto reca alle ragioni dei creditori (e dunque implicitamente dello stato di insolenza del debitore nel momento in cui ha disposto del proprio patrimonio).
Ante tale requisito, la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo, è infatti un requisito essenziale della revocatoria fallimentare.
Irrilevante invece in tale tipologia di azione è la conoscenza da parte del debitore fallito su quale come detto grava una presunzione assoluta di insolvenza e dunque di consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori.
Ultimo aspetto da affrontare riguarda un approfondimento circa la legittimazione attiva per l’esperimento della revocatoria fallimentare che come detto spetta al curatore.
L’azione è diretta nei riguardi del terzo avente causa del fallito, cioè l’accipiens del pagamento o destinatario dell’atto revocabile.
Si tratta di una legittimazione esclusiva del curatore che come tale comporta un divieto di ammissione dell’intervento in causa dei creditori del fallito e tanto più la loro sostituzione al primo a mezzo di una azione surrogatoria in caso di inerzia del medesimo.
Va sottolineato che il curatore deve ottenere apposita autorizzazione dal giudice delegato per l’esercizio dell’azione con l’indicazione specifica degli atti revocabili; l’eventuale mancanza di tale autorizzazione può essere però sanata in un secondo momento con efficacia ex tunc.
Le azioni revocatorie contemplate dalla legge fallimentare sono soggette ad un termine di decadenza, in quanto non possono essere esercitate una volta decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e, comunque, decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.
FL + SL
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