Risoluzione del contratto di compravendita: la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, con ordinanza n. 12226/2018 depositata in data 18 maggio 2018 si è pronunciata in merito alla risoluzione del contratto di compravendita.
Nel caso di specie sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda di risoluzione contrattuale proposta dagli acquirenti per inadempimento dei venditori ed anche la conseguente domanda di nullità del contratto di compravendita dell’immobile.
Alla base della decisione la Corte Territoriale ha rilevato che la mancata consegna del certificato di abitabilità da parte del venditore non determina automaticamente la risoluzione del contratto, dovendo verificarsi la gravità dell’inadempimento in relazione al godimento ed alla commerciabilità del bene e che nel caso di specie la mancanza di irregolarità urbanistiche e la conseguente utilizzabilità del bene facevano venir meno anche la pretesa risarcitoria.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione, confermando quanto già rilevato dalla Corte d’Appello, ha richiamato il principio stabilito dalla giurisprudenza secondo cui “in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene, sicché, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata”.
Pertanto la Corte ha ritenuto che detto principio enunciato in merito al contratto preliminare di vendita possa essere applicato in via analogica anche al contratto definitivo di vendita e dunque anche al caso in commento nel quale il Giudice di prime cure ha accertato che la mancanza del certificato di abitabilità non incide sulla funzione economico–sociale del bene poiché le parti avevano pacificamente affermato che non vi erano irregolarità sul piano edilizio – urbanistico.
La Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso condannando parte soccombente al pagamento delle spese di lite.
Dott.ssa Carmen Giovannini
Risoluzione del contratto di compravendita: la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, con ordinanza n. 12226/2018 depositata in data 18 maggio 2018 si è pronunciata in merito alla risoluzione del contratto di compravendita.
Nel caso di specie sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda di risoluzione contrattuale proposta dagli acquirenti per inadempimento dei venditori ed anche la conseguente domanda di nullità del contratto di compravendita dell’immobile.
Alla base della decisione la Corte Territoriale ha rilevato che la mancata consegna del certificato di abitabilità da parte del venditore non determina automaticamente la risoluzione del contratto, dovendo verificarsi la gravità dell’inadempimento in relazione al godimento ed alla commerciabilità del bene e che nel caso di specie la mancanza di irregolarità urbanistiche e la conseguente utilizzabilità del bene facevano venir meno anche la pretesa risarcitoria.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione, confermando quanto già rilevato dalla Corte d’Appello, ha richiamato il principio stabilito dalla giurisprudenza secondo cui “in tema di compravendita immobiliare, la mancata consegna al compratore del certificato di abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene, sicché, ove in corso di causa si accerti che l’immobile promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche necessarie per l’uso suo proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata”.
Pertanto la Corte ha ritenuto che detto principio enunciato in merito al contratto preliminare di vendita possa essere applicato in via analogica anche al contratto definitivo di vendita e dunque anche al caso in commento nel quale il Giudice di prime cure ha accertato che la mancanza del certificato di abitabilità non incide sulla funzione economico–sociale del bene poiché le parti avevano pacificamente affermato che non vi erano irregolarità sul piano edilizio – urbanistico.
La Suprema Corte ha pertanto rigettato il ricorso condannando parte soccombente al pagamento delle spese di lite.
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