Cade dall'autobus: le responsabilità del vettore
La Corte di Cassazione, sez. III Civile, con ordinanza n. 9811/2018 depositata il 20 aprile si è pronunciata in merito alla responsabilità del vettore.
Nel caso di specie la ricorrente si è vista rigettare sia in primo che in secondo grado la domanda di risarcimento danni ex art. 1681 c.c. avanzata a causa di una caduta da un autobus asseritamente dipendente da responsabilità del vettore il quale ha invece sostenuto che al momento della caduta l’autobus fosse fermo e che i gradini di discesa fossero coperti da tessuto gommoso antiscivolo.
A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha posto le prove addotte dal vettore che ha dimostrato (i), mediante fotografie, che sui gradini dell’autobus c’erano effettivamente dei sussidi antiscivolo tenuti in buone condizioni, (ii) e, mediante l’escussione di alcuni testi, che il mezzo di trasporto era omologato e dotato di tutti i dispositivi di sicurezza e che quando la donna è caduta l’autobus era assolutamente fermo, considerato altresì che prima di lei erano scesi molti passeggeri senza problemi.
La Suprema Corte, chiamata successivamente a pronunciarsi sulla controversia, richiamando il consolidato orientamento della Giurisprudenza di legittimità al riguardo, ha rilevato che “nel contratto di trasporto di persone, il viaggiatore che abbia subito danni “a causa” del trasporto ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo, essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento; incombe invece al vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art. 1681 c.c., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”.
La Suprema Corte ha pertanto ritenuto che la ricorrente non avesse dimostrato il nesso eziologico tra il trasporto e la caduta e che, al contrario, le prove prodotte dal vettore avessero invece dimostrato che il medesimo avesse fatto il possibile per evitare il danno, deducendo così che la caduta fosse attribuibile solo ad una condotta disattenta della donna.
Alla luce di dette considerazioni la Suprema Corte ha rigettato il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese legali.
Dott.ssa Carmen Giovannini
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Nel caso di specie la ricorrente si è vista rigettare sia in primo che in secondo grado la domanda di risarcimento danni ex art. 1681 c.c. avanzata a causa di una caduta da un autobus asseritamente dipendente da responsabilità del vettore il quale ha invece sostenuto che al momento della caduta l’autobus fosse fermo e che i gradini di discesa fossero coperti da tessuto gommoso antiscivolo.
A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha posto le prove addotte dal vettore che ha dimostrato (i), mediante fotografie, che sui gradini dell’autobus c’erano effettivamente dei sussidi antiscivolo tenuti in buone condizioni, (ii) e, mediante l’escussione di alcuni testi, che il mezzo di trasporto era omologato e dotato di tutti i dispositivi di sicurezza e che quando la donna è caduta l’autobus era assolutamente fermo, considerato altresì che prima di lei erano scesi molti passeggeri senza problemi.
La Suprema Corte, chiamata successivamente a pronunciarsi sulla controversia, richiamando il consolidato orientamento della Giurisprudenza di legittimità al riguardo, ha rilevato che “nel contratto di trasporto di persone, il viaggiatore che abbia subito danni “a causa” del trasporto ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo, essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento; incombe invece al vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art. 1681 c.c., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”.
La Suprema Corte ha pertanto ritenuto che la ricorrente non avesse dimostrato il nesso eziologico tra il trasporto e la caduta e che, al contrario, le prove prodotte dal vettore avessero invece dimostrato che il medesimo avesse fatto il possibile per evitare il danno, deducendo così che la caduta fosse attribuibile solo ad una condotta disattenta della donna.
Alla luce di dette considerazioni la Suprema Corte ha rigettato il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese legali.
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