Published On: 28 Gennaio 2018Categories: Adriano Izzo, Articoli, News

Stipendi: divieto di pagamento in contanti

La nuova legge di bilancio n. 205/2017, al comma 911 dell’art.1 , prevede che dal 1 luglio 2018 “i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato”.

Lo scopo della norma è quello di evitare che al lavoratore venga corrisposto uno stipendio inferiore a quello indicato nella busta paga, costringendo i datori di lavoro a versare le retribuzioni attraverso modalità soggette a tracciabilità: bonifico bancario, strumenti elettronici (ad es. carte di credito), assegno bancario o circolare, in contanti presso uno sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.

Il comma 912 della suddetta legge, oltre ad prevedere espressamente che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisca prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione, definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma che interessa le seguenti fattispecie:

  • Rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del Codice civile;
  • Rapporti di lavoro originati da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • Contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.

Nella suddetta legge di bilancio sono previsti alcuni casi in cui non si applica tale obbligo: nello specifico il comma 913 prevede che “la tracciabilità dei pagamenti non si applica ai rapporti instaurati con la pubblica amministrazione di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001” né a quelli di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339 e cioè rapporti di lavoro concernenti gli addetti ai servizi domestici (badanti e colf) che lavorano almeno 4 ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro. Infine, la tracciabilità non si applica neanche “a quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale”.

Al datore di lavoro o committente che violi l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti al lavoratore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro.

Il divieto introdotto prescinde dall’importo, rilevando invece le cause o i motivi della transazione posto che la norma vieta il pagamento in contanti di retribuzioni nonché ogni anticipo di esse. La norma lascerebbe quindi intendere possibile continuare a effettuare pagamenti in contanti per le somme che non rappresentano retribuzione, come ad esempio rimborsi spese per trasferte e/o trasferimenti nonché di anticipi di spese per conto del datore di lavoro.

Tale normativa si affianca al generale divieto di uso del contante previsto dall’articolo 49, comma 1, del Dlgs 231/2007, che limita il trasferimento di contante per importi pari o superiori a 3mila euro. Alla luce di quanto sopra esposto sarà comunque impedito l’utilizzo di contante per il pagamento di retribuzioni anche per gli importi inferiori a 3mila euro, ad eccezione del settore pubblico e per il pagamento apporti di lavoro concernenti gli addetti ai servizi domestici, in quanto esclusi dalla nuova norma.

Dott. Adriano Izzo

condividi sui social

Indirizzo postale unificato.

Studio Legale Scicchitano
Via Emilio Faà di Bruno, 4
00195-Roma

Telefono.

Mail e Pec.

Contattaci.

Nome e Cognome*

Email*

Cellulare (opzionale)

Messaggio

Published On: 28 Gennaio 2018Categories: Adriano Izzo, Articoli, NewsBy

Stipendi: divieto di pagamento in contanti

La nuova legge di bilancio n. 205/2017, al comma 911 dell’art.1 , prevede che dal 1 luglio 2018 “i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato”.

Lo scopo della norma è quello di evitare che al lavoratore venga corrisposto uno stipendio inferiore a quello indicato nella busta paga, costringendo i datori di lavoro a versare le retribuzioni attraverso modalità soggette a tracciabilità: bonifico bancario, strumenti elettronici (ad es. carte di credito), assegno bancario o circolare, in contanti presso uno sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento.

Il comma 912 della suddetta legge, oltre ad prevedere espressamente che la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisca prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione, definisce l’ambito oggettivo di applicazione della norma che interessa le seguenti fattispecie:

  • Rapporti di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del Codice civile;
  • Rapporti di lavoro originati da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • Contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.

Nella suddetta legge di bilancio sono previsti alcuni casi in cui non si applica tale obbligo: nello specifico il comma 913 prevede che “la tracciabilità dei pagamenti non si applica ai rapporti instaurati con la pubblica amministrazione di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001” né a quelli di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339 e cioè rapporti di lavoro concernenti gli addetti ai servizi domestici (badanti e colf) che lavorano almeno 4 ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro. Infine, la tracciabilità non si applica neanche “a quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale”.

Al datore di lavoro o committente che violi l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti al lavoratore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro.

Il divieto introdotto prescinde dall’importo, rilevando invece le cause o i motivi della transazione posto che la norma vieta il pagamento in contanti di retribuzioni nonché ogni anticipo di esse. La norma lascerebbe quindi intendere possibile continuare a effettuare pagamenti in contanti per le somme che non rappresentano retribuzione, come ad esempio rimborsi spese per trasferte e/o trasferimenti nonché di anticipi di spese per conto del datore di lavoro.

Tale normativa si affianca al generale divieto di uso del contante previsto dall’articolo 49, comma 1, del Dlgs 231/2007, che limita il trasferimento di contante per importi pari o superiori a 3mila euro. Alla luce di quanto sopra esposto sarà comunque impedito l’utilizzo di contante per il pagamento di retribuzioni anche per gli importi inferiori a 3mila euro, ad eccezione del settore pubblico e per il pagamento apporti di lavoro concernenti gli addetti ai servizi domestici, in quanto esclusi dalla nuova norma.

Dott. Adriano Izzo

condividi sui social

Recent posts.

Recent posts.