Published On: 8 Aprile 2017Categories: Articoli, Giordano Mele, Locazioni e condominio

Mobbing immobiliare: illegittime pressioni del locatore causa del danno

Con la sentenza n. 5044/2017, depositata il 28 febbraio 2017, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affrontato la questione giuridica della configurabilità nell’ordinamento italiano del c.d. danno derivante da “mobbing immobiliare”.

Tale pronuncia trova il suo referente fattuale nella tardiva opposizione ex art. 668 c.p.c. proposta dal conduttore avverso ordinanza di convalida di licenza per finita locazione.

A giustificazione della suddetta tardività il conduttore opponente adduceva la causa di forza maggiore, concretizzatasi nell’insorgenza di una grave sindrome ansioso depressiva.

Dalla patologia in discorso sarebbe conseguita l’incapacità di autodeterminarsi, in quanto egli “non era né cosciente di ciò che compiva né aveva in sé alcuna consapevolezza e volontà”.

Inoltre, secondo quanto asserito dal conduttore, tale sindrome doveva eziologicamente ricondursi ad una serie di azioni giudiziarie intentate dal locatore nei confronti del medesimo soggetto e rigettate in toto poiché infondate e temerarie.

Il locatore, difatti, agiva in giudizio illegittimamente ed al solo scopo di “convincere” il conduttore a rilasciare l’immobile, tenendolo sotto perenne minaccia di sfratto per ignoti motivi.

Tutto ciò premesso, il conduttore insisteva per l’ammissibilità dell’opposizione ed avanzava, sempre in tal sede, domanda di risarcimento del danno da “mobbing immobiliare” ex art. 2043 c.c.

L’opposizione, tuttavia, unitamente alla domanda risarcitoria, veniva respinta sia in primo che in secondo grado.

Giova evidenziare che la Corte d’appello giudicante, motivando l’inammissibilità della domanda risarcitoria, affermava che: “il c.d. mobbing immobiliare e cioè derivante dalle iniziative giudiziarie intraprese in suo danno dall’ (OMISSIS), nel corso del tempo, per ottenere il rilascio dell’immobile locatogli, la cui responsabilità, eventualmente, avrebbe dovuto essere fatta valere, di volta in volta, in relazione ai singoli procedimenti, che si assumono temerariamente intrapresi, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”

La Suprema Corte, rilevando l’evidente vizio di motivazione della pronuncia impugnata, affermava diversamente che il mobbing “si sarebbe realizzato, unitariamente e gradatamente, mediante una sequenza continuativa di pressione giudiziaria: ed è per questo che si avvale dell’espressione “mobbing”, talora utilizzata se per integrare l’illecito occorre non un’unica condotta, bensì una pluralità di condotte moleste e/o discriminanti non considerate singolarmente bensì nella loro intrinseca connessione, da cui appunto discende l’illiceità in riferimento a tale fattispecie ontologicamente plurima”.

Pertanto, tale fattispecie di elaborazione giuslavoristica ed in evidente espansione applicativa, ricorre nel caso di pressioni continue esercitate dal locatore per il tramite di azioni infondate e temerarie volte a conseguire la liberazione dell’immobile già concesso in locazione.

Vieppiù in considerazione di quanto stabilito dall’art. 1575 c. 3 c.c., il quale prevede espressamente l’obbligo, gravante sul locatore, di assicurare al conduttore il pacifico godimento (cfr. altresì gli artt. 1585 e 1586 c.c.) dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Riscontrando il vizio assoluto di motivazione, la Suprema Corte accoglieva il ricorso con rinvio alla competente Corte d’Appello in diversa composizione.

Dott. Giordano Mele

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Mobbing immobiliare: illegittime pressioni del locatore causa del danno

Con la sentenza n. 5044/2017, depositata il 28 febbraio 2017, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affrontato la questione giuridica della configurabilità nell’ordinamento italiano del c.d. danno derivante da “mobbing immobiliare”.

Tale pronuncia trova il suo referente fattuale nella tardiva opposizione ex art. 668 c.p.c. proposta dal conduttore avverso ordinanza di convalida di licenza per finita locazione.

A giustificazione della suddetta tardività il conduttore opponente adduceva la causa di forza maggiore, concretizzatasi nell’insorgenza di una grave sindrome ansioso depressiva.

Dalla patologia in discorso sarebbe conseguita l’incapacità di autodeterminarsi, in quanto egli “non era né cosciente di ciò che compiva né aveva in sé alcuna consapevolezza e volontà”.

Inoltre, secondo quanto asserito dal conduttore, tale sindrome doveva eziologicamente ricondursi ad una serie di azioni giudiziarie intentate dal locatore nei confronti del medesimo soggetto e rigettate in toto poiché infondate e temerarie.

Il locatore, difatti, agiva in giudizio illegittimamente ed al solo scopo di “convincere” il conduttore a rilasciare l’immobile, tenendolo sotto perenne minaccia di sfratto per ignoti motivi.

Tutto ciò premesso, il conduttore insisteva per l’ammissibilità dell’opposizione ed avanzava, sempre in tal sede, domanda di risarcimento del danno da “mobbing immobiliare” ex art. 2043 c.c.

L’opposizione, tuttavia, unitamente alla domanda risarcitoria, veniva respinta sia in primo che in secondo grado.

Giova evidenziare che la Corte d’appello giudicante, motivando l’inammissibilità della domanda risarcitoria, affermava che: “il c.d. mobbing immobiliare e cioè derivante dalle iniziative giudiziarie intraprese in suo danno dall’ (OMISSIS), nel corso del tempo, per ottenere il rilascio dell’immobile locatogli, la cui responsabilità, eventualmente, avrebbe dovuto essere fatta valere, di volta in volta, in relazione ai singoli procedimenti, che si assumono temerariamente intrapresi, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.”

La Suprema Corte, rilevando l’evidente vizio di motivazione della pronuncia impugnata, affermava diversamente che il mobbing “si sarebbe realizzato, unitariamente e gradatamente, mediante una sequenza continuativa di pressione giudiziaria: ed è per questo che si avvale dell’espressione “mobbing”, talora utilizzata se per integrare l’illecito occorre non un’unica condotta, bensì una pluralità di condotte moleste e/o discriminanti non considerate singolarmente bensì nella loro intrinseca connessione, da cui appunto discende l’illiceità in riferimento a tale fattispecie ontologicamente plurima”.

Pertanto, tale fattispecie di elaborazione giuslavoristica ed in evidente espansione applicativa, ricorre nel caso di pressioni continue esercitate dal locatore per il tramite di azioni infondate e temerarie volte a conseguire la liberazione dell’immobile già concesso in locazione.

Vieppiù in considerazione di quanto stabilito dall’art. 1575 c. 3 c.c., il quale prevede espressamente l’obbligo, gravante sul locatore, di assicurare al conduttore il pacifico godimento (cfr. altresì gli artt. 1585 e 1586 c.c.) dell’immobile oggetto del contratto di locazione.

Riscontrando il vizio assoluto di motivazione, la Suprema Corte accoglieva il ricorso con rinvio alla competente Corte d’Appello in diversa composizione.

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