Maltrattamenti in famiglia: c'è reato anche se violenze interrotte per breve periodo
La Corte di Cassazione, sez. VI penale, con sentenza n. 9962/17, depositata il 28 febbraio, si è pronunciata in tema di reato di maltrattamenti in famiglia.
Nel caso di specie un uomo è stato condannato per il summenzionato reato dal Tribunale di Asti a causa del perdurare nel tempo di ingiurie, minacce e percosse compiute ai danni della moglie; successivamente, dopo la conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello di Torino, l’imputato ha dunque proposto ricorso per Cassazione.
Il ricorrente, fra i motivi del suddetto ricorso, ha addotto la violazione di legge in tema di valutazione delle prove, soprattutto in merito alle dichiarazioni rese dalla moglie, e la mancata sussistenza del dolo, in virtù della quale – a dire del ricorrente – il reato in questione non sarebbe dovuto rientrare nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., ma piuttosto nelle singole fattispecie di lesioni, minacce e percosse.
Secondo l’imputato, tale ultimo assunto sarebbe giustificato dal fatto che i due coniugi, dopo aver divorziato a causa delle violenze subite dalla moglie, pochi anni dopo si sono riappacificati e risposati e questo – sempre secondo l’imputato – impedirebbe la configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia poiché non sarebbe soddisfatta la condizione necessaria della reiterazione nel tempo delle condotte violente.
I Giudici della Suprema Corte hanno confermato la decisione della Corte d’Appello di Torino sia per quanto riguarda la veridicità delle dichiarazioni rese dalla moglie dell’imputato quale persona offesa, sia per quanto riguarda la configurazione del reato nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., altresì specificando che: “Secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, anche se gli stessi siano ripetuti soltanto per un limitato periodo di tempo, o siano intervallati da condotte prive della connotazione della violenza e della sopraffazione o dallo svolgimento di attività familiari persino gratificanti per la persona offesa; sotto il profilo soggettivo, poi, è opinione generale quella secondo cui, ai fini della sussistenza del dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia, quale reato abituale, è sufficiente la consapevolezza dell’autore delle condotte di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice ”.
Alla luce di tali considerazioni i Magistrati del Palazzaccio non hanno accolto il ricorso e hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dott.ssa Carmen Giovannini
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Il ricorrente, fra i motivi del suddetto ricorso, ha addotto la violazione di legge in tema di valutazione delle prove, soprattutto in merito alle dichiarazioni rese dalla moglie, e la mancata sussistenza del dolo, in virtù della quale – a dire del ricorrente – il reato in questione non sarebbe dovuto rientrare nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., ma piuttosto nelle singole fattispecie di lesioni, minacce e percosse.
Secondo l’imputato, tale ultimo assunto sarebbe giustificato dal fatto che i due coniugi, dopo aver divorziato a causa delle violenze subite dalla moglie, pochi anni dopo si sono riappacificati e risposati e questo – sempre secondo l’imputato – impedirebbe la configurazione del reato di maltrattamenti in famiglia poiché non sarebbe soddisfatta la condizione necessaria della reiterazione nel tempo delle condotte violente.
I Giudici della Suprema Corte hanno confermato la decisione della Corte d’Appello di Torino sia per quanto riguarda la veridicità delle dichiarazioni rese dalla moglie dell’imputato quale persona offesa, sia per quanto riguarda la configurazione del reato nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p., altresì specificando che: “Secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, anche se gli stessi siano ripetuti soltanto per un limitato periodo di tempo, o siano intervallati da condotte prive della connotazione della violenza e della sopraffazione o dallo svolgimento di attività familiari persino gratificanti per la persona offesa; sotto il profilo soggettivo, poi, è opinione generale quella secondo cui, ai fini della sussistenza del dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia, quale reato abituale, è sufficiente la consapevolezza dell’autore delle condotte di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice ”.
Alla luce di tali considerazioni i Magistrati del Palazzaccio non hanno accolto il ricorso e hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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