Published On: 19 Febbraio 2017Categories: Andrea Paolucci, Articoli, Diritto amministrativo

Impianti pubblicitari: sì alla disciplina speciale, no al TU edilizia

“La disciplina speciale dettata per l’installazione degli impianti pubblicitari esclude la contemporanea applicabilità del TU in materia edilizia, nel senso che eventuali problematiche di natura tecnico/urbanistica dovranno essere considerate all’interno del procedimento autorizzatorio principale”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza n. 244 del 19 gennaio 2017.

Nel caso di specie, il T.a.r. per la Calabria ha respinto il ricorso proposto in primo grado per l’annullamento dell’ordinanza con la quale un comune calabrese ha ordinato alla ricorrente la demolizione di un impianto pubblicitario perché realizzato in assenza del permesso di costruire.

Secondo la sentenza appellata, il D.Lgs. n. 507/1993non prevede che l’Amministrazione comunale, nel rilasciare l’autorizzazione all’installazione degli impianti, svolga anche valutazioni edilizie relative all’impatto della struttura sul territorio. Pertanto, è necessario che il procedimento autorizzatorio sia “doppiato” dal procedimento, disciplinato dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, volto ad ottenere il titolo edilizio prescritto in relazione alla natura e alle caratteristiche delle strutture”.

Avverso tale decisione veniva proposto appello in Consiglio di Stato dall’originale ricorrente.

I giudici di Palazzo Spada, consapevoli che in materia di impianti pubblicitari una parte della giurisprudenza amministrativa in passato (cfr. Cons. St., sez. V, 17 maggio 2007 n. 2497) ha accolto una tesi che non esclude in assoluto la necessità del titolo edilizio per l’installazione degli impianti pubblicitari, ma richiede anche il permesso di costruire allorché vi sia un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, hanno ritenuto che tale tesi non appare condivisibile.

In primo luogo, essa non sembra tenere conto della “specialità” della disciplina di settore (codice della strada e decreto legislativo n. 507 del 1993) la quale, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, prescrive regole e obblighi pianificatori specifici volti a tutelare, anche, le esigenze dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità“. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore, anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata, perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (cfr. art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.

L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta, peraltro, in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario.

Secondo i giudici amministrativi, infatti, “gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione e unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie”.

Inoltre, prosegue il Collegio, “ulteriori elementi interpretativi a sostegno di questa tesi si desumono poi dall’art. 168 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che testualmente dispone “Chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni di cui all’art. 153 è punito con le sanzioni previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni”. In tal modo, come evidenziato da parte appellante, la norma ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e le opere in genere, assoggettandoli, ove sprovvisti del nulla osta paesaggistico, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada e non già alle sanzioni penali previste per le costruzioni abusive”.

L’appello, pertanto, veniva accolto e, per l’effetto, riformata la sentenza di primo grado.

Dott. Andrea Paolucci

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Published On: 19 Febbraio 2017Categories: Andrea Paolucci, Articoli, Diritto amministrativoBy

Impianti pubblicitari: sì alla disciplina speciale, no al TU edilizia

“La disciplina speciale dettata per l’installazione degli impianti pubblicitari esclude la contemporanea applicabilità del TU in materia edilizia, nel senso che eventuali problematiche di natura tecnico/urbanistica dovranno essere considerate all’interno del procedimento autorizzatorio principale”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza n. 244 del 19 gennaio 2017.

Nel caso di specie, il T.a.r. per la Calabria ha respinto il ricorso proposto in primo grado per l’annullamento dell’ordinanza con la quale un comune calabrese ha ordinato alla ricorrente la demolizione di un impianto pubblicitario perché realizzato in assenza del permesso di costruire.

Secondo la sentenza appellata, il D.Lgs. n. 507/1993non prevede che l’Amministrazione comunale, nel rilasciare l’autorizzazione all’installazione degli impianti, svolga anche valutazioni edilizie relative all’impatto della struttura sul territorio. Pertanto, è necessario che il procedimento autorizzatorio sia “doppiato” dal procedimento, disciplinato dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, volto ad ottenere il titolo edilizio prescritto in relazione alla natura e alle caratteristiche delle strutture”.

Avverso tale decisione veniva proposto appello in Consiglio di Stato dall’originale ricorrente.

I giudici di Palazzo Spada, consapevoli che in materia di impianti pubblicitari una parte della giurisprudenza amministrativa in passato (cfr. Cons. St., sez. V, 17 maggio 2007 n. 2497) ha accolto una tesi che non esclude in assoluto la necessità del titolo edilizio per l’installazione degli impianti pubblicitari, ma richiede anche il permesso di costruire allorché vi sia un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, hanno ritenuto che tale tesi non appare condivisibile.

In primo luogo, essa non sembra tenere conto della “specialità” della disciplina di settore (codice della strada e decreto legislativo n. 507 del 1993) la quale, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, prescrive regole e obblighi pianificatori specifici volti a tutelare, anche, le esigenze dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità“. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore, anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata, perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (cfr. art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.

L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta, peraltro, in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario.

Secondo i giudici amministrativi, infatti, “gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione e unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie”.

Inoltre, prosegue il Collegio, “ulteriori elementi interpretativi a sostegno di questa tesi si desumono poi dall’art. 168 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che testualmente dispone “Chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni di cui all’art. 153 è punito con le sanzioni previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni”. In tal modo, come evidenziato da parte appellante, la norma ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e le opere in genere, assoggettandoli, ove sprovvisti del nulla osta paesaggistico, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada e non già alle sanzioni penali previste per le costruzioni abusive”.

L’appello, pertanto, veniva accolto e, per l’effetto, riformata la sentenza di primo grado.

Dott. Andrea Paolucci

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