Published On: 28 Gennaio 2017Categories: Articoli, Carmen Giovannini, Diritto del Lavoro

Lavoratrice critica la sua azienda: illegittimo il licenziamento

La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 996/2017, depositata il 17 gennaio, si è pronunciata sul diritto di critica esercitato da un lavoratore nei confronti della propria azienda.

Nel caso di specie una lavoratrice veniva licenziata a causa delle dichiarazioni contenute in un esposto presentato dalla stessa presso la Procura di Velletri e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con cui accusava duramente la sua azienda  perché, malgrado fosse in continua crescita economica, aveva fatto ricorso impropriamente a procedure di CIGS e di mobilità realizzando gli estremi di una truffa a danno dello stato”; successivamente l’azienda, reputando il comportamento della lavoratrice diffamatorio, ha licenziato la stessa.

La donna dunque, ha convenuto in giudizio la società affinché fosse dichiarato illegittimo il licenziamento subito in quanto privo di giusta causa ed ha ottenuto una vittoria sia in primo che in secondo grado.

La società ha impugnato la decisione dei Giudici della Corte d’Appello proponendo ricorso in Cassazione; fra i motivi alla base del siffatto ricorso la società lamentava il fatto che quanto detto dalla lavoratrice ha oltrepassato il limite della libertà di critica di cui all’art. 21 della Costituzione e ha altresì arrecato pesanti danni all’immagine della stessa.

La società ha evidenziato come il comportamento tenuto dalla donna sia andato contro quelli che sono i doveri di fedeltà e diligenza che un lavoratore dovrebbe rispettare e contro il rapporto di fiducia che dovrebbe essere alla base di un qualsivoglia rapporto di lavoro.

A tal proposito, la Suprema Corte ha specificato che “l’obbligo di fedeltà, la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..

[…]È stato altresì evidenziato come il diritto di cronaca debba rispettare il principio della continenza sostanziale (secondo cui i fatti narrati devono corrispondere a verità) e quello della continenza formale (secondo cui l’esposizione dei fatti deve avvenire misuratamente) precisandosi al riguardo che, nella valutazione del legittimo esercizio del diritto di critica, il requisito della continenza c.d. formale, comportante anche l’osservanza della correttezza e civiltà delle espressioni utilizzate, è attenuato dalla necessità, ad esso connaturata, di esprimere le proprie opinioni e la propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite”

Nel caso di specie, la donna ha sottoscritto un esposto in cui ha criticato duramente fatti già noti e divulgati dalla stampa e pertanto rientranti nei limiti entro cui si può parlare ancora di diritto di critica e non di diffamazione.

I Magistrati della Corte di Cassazione hanno dunque ritenuto corrette la decisione dei Giudici della Corte d’Appello, rigettando quindi il ricorso e ritenendo illegittimo il licenziamento della lavoratrice.

Dott. ssa Carmela Giovannini

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Lavoratrice critica la sua azienda: illegittimo il licenziamento

La Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 996/2017, depositata il 17 gennaio, si è pronunciata sul diritto di critica esercitato da un lavoratore nei confronti della propria azienda.

Nel caso di specie una lavoratrice veniva licenziata a causa delle dichiarazioni contenute in un esposto presentato dalla stessa presso la Procura di Velletri e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con cui accusava duramente la sua azienda  perché, malgrado fosse in continua crescita economica, aveva fatto ricorso impropriamente a procedure di CIGS e di mobilità realizzando gli estremi di una truffa a danno dello stato”; successivamente l’azienda, reputando il comportamento della lavoratrice diffamatorio, ha licenziato la stessa.

La donna dunque, ha convenuto in giudizio la società affinché fosse dichiarato illegittimo il licenziamento subito in quanto privo di giusta causa ed ha ottenuto una vittoria sia in primo che in secondo grado.

La società ha impugnato la decisione dei Giudici della Corte d’Appello proponendo ricorso in Cassazione; fra i motivi alla base del siffatto ricorso la società lamentava il fatto che quanto detto dalla lavoratrice ha oltrepassato il limite della libertà di critica di cui all’art. 21 della Costituzione e ha altresì arrecato pesanti danni all’immagine della stessa.

La società ha evidenziato come il comportamento tenuto dalla donna sia andato contro quelli che sono i doveri di fedeltà e diligenza che un lavoratore dovrebbe rispettare e contro il rapporto di fiducia che dovrebbe essere alla base di un qualsivoglia rapporto di lavoro.

A tal proposito, la Suprema Corte ha specificato che “l’obbligo di fedeltà, la cui violazione può rilevare come giusta causa di licenziamento, si sostanzia nell’obbligo di un leale comportamento del lavoratore nei confronti del datore di lavoro e va collegato con le regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..

[…]È stato altresì evidenziato come il diritto di cronaca debba rispettare il principio della continenza sostanziale (secondo cui i fatti narrati devono corrispondere a verità) e quello della continenza formale (secondo cui l’esposizione dei fatti deve avvenire misuratamente) precisandosi al riguardo che, nella valutazione del legittimo esercizio del diritto di critica, il requisito della continenza c.d. formale, comportante anche l’osservanza della correttezza e civiltà delle espressioni utilizzate, è attenuato dalla necessità, ad esso connaturata, di esprimere le proprie opinioni e la propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni astrattamente offensive e soggettivamente sgradite alla persona cui sono riferite”

Nel caso di specie, la donna ha sottoscritto un esposto in cui ha criticato duramente fatti già noti e divulgati dalla stampa e pertanto rientranti nei limiti entro cui si può parlare ancora di diritto di critica e non di diffamazione.

I Magistrati della Corte di Cassazione hanno dunque ritenuto corrette la decisione dei Giudici della Corte d’Appello, rigettando quindi il ricorso e ritenendo illegittimo il licenziamento della lavoratrice.

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