
L’uso improprio di Facebook e la violazione degli arresti domiciliari
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46874 dell’8 novembre 2016, ha rigettato il ricorso e revocato la custodia domiciliare ad un detenuto dopo che egli aveva pubblicato un messaggio di stato su un noto social network, ritenendo configurata una violazione dell’obbligo di non comunicare con persone estranee imposta ex art. 284 comma II c.p.p.
Il detenuto aveva proposto ricorso contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catania che aveva richiesto la custodia in carcere per «violazioni della misura domiciliare ritenute gravi». I giudici infatti avevano rilevato che il reo aveva pubblicato uno status intimidatorio nei confronti della vittima dell’illecito da lui commesso, che la Suprema Corte ha ritenuto “oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perché sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie”
La difesa rilevava come non si fosse in presenza di una condotta trasgressiva ed effettivamente lesiva, in violazione della norma sopracitata, tale da giustificare l’aggravamento della misura detentiva.
Nonostante l’obiezione, la motivazione dei giudici di primo grado è stata ritenuta meritevole di accoglimento in quanto “la prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici”, conformemente all’indirizzo della Corte (si veda la sentenza del 18 ottobre 2010, n. 37151– Sez. II penale).
Gli arresti domiciliari, nel caso di specie, si sono rivelati una misura inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari “in ragione della inaffidabilità dell’indagato”.

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La difesa rilevava come non si fosse in presenza di una condotta trasgressiva ed effettivamente lesiva, in violazione della norma sopracitata, tale da giustificare l’aggravamento della misura detentiva.
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