Concessione cittadinanza: diniego insindacabile nel merito davanti al giudice amministrativo
“In sede di giurisdizione amministrativa di legittimità il provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza italiana è sindacabile per i suoi eventuali profili di eccesso di potere (ad es. per travisamento dei fatti o inadeguata motivazione), ma è insindacabile per i profili di merito della valutazione dell’Amministrazione”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 3819 del 6 settembre u.s..
Nel caso di specie era stato proposto appello al C.d.S. per la riforma della sentenza n. 11224/15 emessa dal TAR Lazio, sede di Roma, Sez. II quater, concernente il diniego di concessione di cittadinanza italiana.
L’interessato impugnava il suddetto diniego, deducendo vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
L’impugnazione veniva, però, respinta dai giudici di Via Flaminia.
Pertanto, con l’appello in esame, l’interessato chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado fosse accolto, riproponendo le censure secondo cui il diniego sarebbe viziato da eccesso di potere per manifesta illogicità e difetto di motivazione, deducendo che l’appellato Ministero dell’Interno “ben può valutare l’opportunità della concessione della cittadinanza, ma non può adottare atti arbitrari, né investigare su una sfera riservata della persona e sulle scelte intime e insindacabili relative alla gestione degli affetti”.
Il Ministero, inoltre, “avrebbe dovuto verificare se vi è la sua integrazione, da considerare sussistente per la risalenza nel tempo (da oltre venti anni) della residenza nel territorio dello Stato e per la sua convivenza con il fratello”.
I giudici di Palazzo Spada hanno, però, respinto l’appello ritenendo che “nella specie, l’Autorità amministrativa – sulla base di una adeguata motivazione e a seguito di una adeguata istruttoria – ha tenuto conto delle circostanze risultanti alla data di emanazione del contestato diniego, attribuendo rilievo alla mancanza di forti legami dell’interessato nel territorio nazionale e alla mancata prova della sua integrazione nel tessuto sociale.”.
Dunque, con una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, l’Amministrazione ha ragionevolmente constatato la labilità dei rapporti dell’appellante con la comunità nazionale, desumibile dal fatto che i componenti della sua famiglia si trovano nel suo Paese d’origine, con ciò attribuendo rilevanza ad un dato oggettivo, da cui risulta il suo mancato inserimento nella comunità italiana.
L’appello veniva, pertanto, respinto.
Dott. Andrea Paolucci
Concessione cittadinanza: diniego insindacabile nel merito davanti al giudice amministrativo
“In sede di giurisdizione amministrativa di legittimità il provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza italiana è sindacabile per i suoi eventuali profili di eccesso di potere (ad es. per travisamento dei fatti o inadeguata motivazione), ma è insindacabile per i profili di merito della valutazione dell’Amministrazione”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 3819 del 6 settembre u.s..
Nel caso di specie era stato proposto appello al C.d.S. per la riforma della sentenza n. 11224/15 emessa dal TAR Lazio, sede di Roma, Sez. II quater, concernente il diniego di concessione di cittadinanza italiana.
L’interessato impugnava il suddetto diniego, deducendo vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
L’impugnazione veniva, però, respinta dai giudici di Via Flaminia.
Pertanto, con l’appello in esame, l’interessato chiedeva che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado fosse accolto, riproponendo le censure secondo cui il diniego sarebbe viziato da eccesso di potere per manifesta illogicità e difetto di motivazione, deducendo che l’appellato Ministero dell’Interno “ben può valutare l’opportunità della concessione della cittadinanza, ma non può adottare atti arbitrari, né investigare su una sfera riservata della persona e sulle scelte intime e insindacabili relative alla gestione degli affetti”.
Il Ministero, inoltre, “avrebbe dovuto verificare se vi è la sua integrazione, da considerare sussistente per la risalenza nel tempo (da oltre venti anni) della residenza nel territorio dello Stato e per la sua convivenza con il fratello”.
I giudici di Palazzo Spada hanno, però, respinto l’appello ritenendo che “nella specie, l’Autorità amministrativa – sulla base di una adeguata motivazione e a seguito di una adeguata istruttoria – ha tenuto conto delle circostanze risultanti alla data di emanazione del contestato diniego, attribuendo rilievo alla mancanza di forti legami dell’interessato nel territorio nazionale e alla mancata prova della sua integrazione nel tessuto sociale.”.
Dunque, con una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, l’Amministrazione ha ragionevolmente constatato la labilità dei rapporti dell’appellante con la comunità nazionale, desumibile dal fatto che i componenti della sua famiglia si trovano nel suo Paese d’origine, con ciò attribuendo rilevanza ad un dato oggettivo, da cui risulta il suo mancato inserimento nella comunità italiana.
L’appello veniva, pertanto, respinto.
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