Saluto romano, è apologia di fascismo
La Suprema Corte, con sentenza n. 20450/2016, conferma l’orientamento adottato dai precedenti gradi di giudizio in materia di apologia del fascismo: il saluto romano costituisce un chiaro esempio di comportamento apologetico e quindi è tale da integrare il reato di cui all’art. 2 del D.lg. 122/1993.
Durante un incontro di calcio, trasmesso in televisione e al quale assistevano più di 20.000 spettatori, al momento del canto nazionale di Mameli, i sette imputati accompagnavano le strofe dell’inno italiano con il noto saluto romano.
Tale gesto è stato giudicato dai precedenti gradi di giudizio, e confermato dagli Ermellini, una manifestazione esteriore tipica di un’organizzazione politica di cui all’art. 3 della Legge n. 654/1975, cioè un’organizzazione perseguente finalità volte ad inneggiare l’odio e la discriminazione razziale ovvero ad incitare atti di violenza nei confronti di persone appartenenti ad altri gruppi etnici, razziali o nazionali.
Gli imputati, condannati in primo e in secondo grado, ricorrono per Cassazione lamentando che il saluto fascista compiuto non aveva alcuna portata discriminatoria né era accompagnato da comportamenti violenti espressione di un ardore per il regime fascista, e per tali motivazioni il gesto realizzato non può in nessun modo essere considerato quale estrinsecazione apologetica.
Chiaro è l’insegnamento degli Ermellini, i quali, delineando il quadro complessivo entro cui inserire il fatto criminoso realizzato, hanno rigettato il ricorso: infatti il semplice saluto romano, comportamento sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 2 del D.lg. 122/93, deve essere comunque contestualizzato alla luce del fatto che gli imputati erano noti alle forze dell’ordine per essere membri di un gruppo di ultras friulani sostenitore delle ideologie di estrema destra e pertanto deve ritenersi completamente integrato l’elemento soggettivo necessario ad integrarsi il reato in esame.
A salvare però gli imputati è intervenuta la prescrizione.
Dott.ssa Claudia Barbara Bondanini
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Tale gesto è stato giudicato dai precedenti gradi di giudizio, e confermato dagli Ermellini, una manifestazione esteriore tipica di un’organizzazione politica di cui all’art. 3 della Legge n. 654/1975, cioè un’organizzazione perseguente finalità volte ad inneggiare l’odio e la discriminazione razziale ovvero ad incitare atti di violenza nei confronti di persone appartenenti ad altri gruppi etnici, razziali o nazionali.
Gli imputati, condannati in primo e in secondo grado, ricorrono per Cassazione lamentando che il saluto fascista compiuto non aveva alcuna portata discriminatoria né era accompagnato da comportamenti violenti espressione di un ardore per il regime fascista, e per tali motivazioni il gesto realizzato non può in nessun modo essere considerato quale estrinsecazione apologetica.
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