Published On: 25 Aprile 2016Categories: Articoli, Claudia Barbara Bondanini, Diritto Penale

Messaggio su Facebook, può essere minaccia grave

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16145/2016, ha statuito che può costituire minaccia grave anche un semplice messaggio mandato tramite un social network.

Nel caso di specie infatti l’imputato, giudicato precedentemente colpevole dalla Corte d’Appello dell’Aquila, aveva inviato un messaggio dal proprio profilo Facebook con il quale intimava alla sua ex fidanzata testualmente: “se mi tolgono il bambino, io vi ammazzo”.

L’imputato, condannato alla pena di 3 mesi di reclusione, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento da parte dell’organo giudicante precedente della modalità effettiva in cui è avvenuta la presunta minaccia. Infatti essendo stata trasmessa attraverso un social network, la Corte, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che la minaccia si sia realizzata “a distanza”.

Ma proprio dalla lettura dell’art. 612 comma 1 c.p. – Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. – si evidenzia che non figura come elemento necessario per l’integrazione del comportamento criminoso la modalità di realizzo della minaccia stessa, quanto piuttosto il reale atteggiamento intimidatorio che mira a pregiudicare la sfera di autodeterminazione della vittima.

La Cassazione ha infatti teso a sottolineare che la gravità della minaccia realizzata dal ricorrente sta nella provocazione dell’effettivo turbamento arrecato alla sfera emotiva e familiare della vittima.

Precisa inoltre che in ogni caso la gravità reale della minaccia va sempre valuta tenendo in considerazione sia le modalità della condotta – come ad esempio il tenore delle espressioni utilizzate – sia il contesto in cui la minaccia stessa viene collocata, nel caso di specie infatti il contesto stesso è caratterizzato da una situazione familiare tesa e complicata.

La Corte ha pertanto rigettato il ricorso.

Dott.ssa Claudia Barbara Bondanini

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Published On: 25 Aprile 2016Categories: Articoli, Claudia Barbara Bondanini, Diritto PenaleBy

Messaggio su Facebook, può essere minaccia grave

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16145/2016, ha statuito che può costituire minaccia grave anche un semplice messaggio mandato tramite un social network.

Nel caso di specie infatti l’imputato, giudicato precedentemente colpevole dalla Corte d’Appello dell’Aquila, aveva inviato un messaggio dal proprio profilo Facebook con il quale intimava alla sua ex fidanzata testualmente: “se mi tolgono il bambino, io vi ammazzo”.

L’imputato, condannato alla pena di 3 mesi di reclusione, ha proposto ricorso in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento da parte dell’organo giudicante precedente della modalità effettiva in cui è avvenuta la presunta minaccia. Infatti essendo stata trasmessa attraverso un social network, la Corte, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto tenere in considerazione il fatto che la minaccia si sia realizzata “a distanza”.

Ma proprio dalla lettura dell’art. 612 comma 1 c.p. – Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. – si evidenzia che non figura come elemento necessario per l’integrazione del comportamento criminoso la modalità di realizzo della minaccia stessa, quanto piuttosto il reale atteggiamento intimidatorio che mira a pregiudicare la sfera di autodeterminazione della vittima.

La Cassazione ha infatti teso a sottolineare che la gravità della minaccia realizzata dal ricorrente sta nella provocazione dell’effettivo turbamento arrecato alla sfera emotiva e familiare della vittima.

Precisa inoltre che in ogni caso la gravità reale della minaccia va sempre valuta tenendo in considerazione sia le modalità della condotta – come ad esempio il tenore delle espressioni utilizzate – sia il contesto in cui la minaccia stessa viene collocata, nel caso di specie infatti il contesto stesso è caratterizzato da una situazione familiare tesa e complicata.

La Corte ha pertanto rigettato il ricorso.

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