Contratto valido concluso tra le parti, buona fede può essere violata?
Con la sentenza del 23 marzo 2016, n. 5762, la Cassazione, con riferimento ad una complessa vicenda di trasferimento di marchi, precisa che la responsabilità precontrattuale, quale violazione delle regole di condotta nella fase di conclusione del contratto, può essere invocata anche in presenza di un contratto ritualmente concluso tra le parti.
La vicenda riguardava un contratto di cessione di marchi e l’interpretazione relativa all’inclusione di altri marchi nella cessione non espressamente indicati nel testo del contratto ma individuabili dal tenore letterale del contratto e da comportamenti non equivoci dell’alienante. Nel merito, veniva invocata dall’acquirente la responsabilità precontrattuale dell’alienante per non aver correttamente incluso nel contratto altri marchi analoghi a quelli ceduti, con conseguente riduzione del valore dei marchi acquistati ed utilizzabili sul mercato nazionale. La domanda giudiziale veniva rigettata sia in Primo Grado che in Appello, in quanto i giudici sostenevano il principio secondo cui il contratto era stato concluso con il libero consenso delle parti e pertanto tale tipologia di responsabilità non era ammissibile. La parte soccombente ricorreva in Cassazione che si esprimeva nel senso della massima di cui sopra, rimettendo alla Corte di Appello per un nuovo esame dei fatti di causa.
Gli Ermellini seguendo l’orientamento giurisprudenziale ritenuto ormai prevalente, hanno statuito che la violazione del dovere di comportamento secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ex 1337 c.c., non si applica solo ai casi di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido, ma anche quando il contratto concluso sia valido.
La Corte attraverso una interpretazione letterale-estensiva dell’art. 1337 c.c. ha ampliato i casi di responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta della buona fede. Tale orientamento, infatti, tende a riequilibrare nella fase delle trattative e conclusione del contratto, lo squilibrio che potrebbe venire a crearsi tra i contraenti, facendo propri i principi tipici del codice del consumo. Per questi motivi, il principio di bona fides funge da clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
Dott. Ettore Salvatore Masullo
Contratto valido concluso tra le parti, buona fede può essere violata?
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La vicenda riguardava un contratto di cessione di marchi e l’interpretazione relativa all’inclusione di altri marchi nella cessione non espressamente indicati nel testo del contratto ma individuabili dal tenore letterale del contratto e da comportamenti non equivoci dell’alienante. Nel merito, veniva invocata dall’acquirente la responsabilità precontrattuale dell’alienante per non aver correttamente incluso nel contratto altri marchi analoghi a quelli ceduti, con conseguente riduzione del valore dei marchi acquistati ed utilizzabili sul mercato nazionale. La domanda giudiziale veniva rigettata sia in Primo Grado che in Appello, in quanto i giudici sostenevano il principio secondo cui il contratto era stato concluso con il libero consenso delle parti e pertanto tale tipologia di responsabilità non era ammissibile. La parte soccombente ricorreva in Cassazione che si esprimeva nel senso della massima di cui sopra, rimettendo alla Corte di Appello per un nuovo esame dei fatti di causa.
Gli Ermellini seguendo l’orientamento giurisprudenziale ritenuto ormai prevalente, hanno statuito che la violazione del dovere di comportamento secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ex 1337 c.c., non si applica solo ai casi di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido, ma anche quando il contratto concluso sia valido.
La Corte attraverso una interpretazione letterale-estensiva dell’art. 1337 c.c. ha ampliato i casi di responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta della buona fede. Tale orientamento, infatti, tende a riequilibrare nella fase delle trattative e conclusione del contratto, lo squilibrio che potrebbe venire a crearsi tra i contraenti, facendo propri i principi tipici del codice del consumo. Per questi motivi, il principio di bona fides funge da clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.
Dott. Ettore Salvatore Masullo
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