Published On: 18 Marzo 2016Categories: Articoli, Diritto civile, Ettore Salvatore Masullo

Avvocati: il diritto alla pensione e i poteri di controllo della Cassa Forense

Con la sentenza n. 4092 del 2 marzo del 2016 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione faceva chiarezza in merito ai requisiti necessari per esercitare il diritto al pensionamento da parte degli Avvocati nonché ai poteri di controllo della Cassa Forense.

La pronuncia in commento, traeva origine dal rigetto dalla domanda di pensione di anzianità ai sensi dell’art. 3, legge n. 576/1980 (sulla riforma del sistema previdenziale forense), da parte della Cassa Forense nei confronti un avvocato che dichiarava di aver sempre svolto con continuità la professione sin dal 1973, epoca dell’iscrizione all’albo degli Avvocati, in qualità di amministratore di società semplice, esercente attività agricola, costituente motivo della rilevata incompatibilità.

Il Tribunale riteneva parzialmente illegittima tale delibera impugnata, affermando che il potere della Cassa di accertare le situazioni di incompatibilità doveva ritenersi limitato al quinquennio precedente alla domanda. Tuttavia, il giudice di primo grado, rigettava il ricorso dell’Avvocato per mancato perfezionamento dell’anzianità contributiva necessaria alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità, in quanto il ricorrente non aveva provato l’esercizio continuativo della professione nel quinquennio 1996 – 2002  per assenza di un collegamento funzionale tra attività forense e carica sociale ricoperta nello stesso periodo. La Corte d’Appello, pronunciando sulle opposte impugnazioni, rigettava quella proposta dal ricorrente ed accoglieva l’appello della Cassa, dichiarando che la stessa aveva diritto di sindacare senza limiti di tempo la compatibilità della professione forense con altre attività svolte dall’iscritto.

Chiamati a decidere in merito alla controversia suddetta, i Giudici della Corte di Cassazione hanno in prima battuta precisato che, ai sensi della legge numero 576/1980, la pensione di anzianità è corrisposta a coloro che abbiano maturato almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che, tale previsione va interpretata nel senso che l’iscrizione in tanto può ritenersi effettiva in quanto sia accompagnata dall’esercizio dell’attività professionale.

Su tale necessaria premessa, la Cassazione ha statuito entro quali limiti temporali la Cassa può verificare l’effettività dell’esercizio della professione, precisando che la continuità nell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per i periodi anteriori al quinquennio precedente la domanda di pensione di anzianità, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione dalla stessa prevista dall’art. 3, legge n. 319/1975 e come modificato dall’art. 22, legge n. 576/1980 e l’interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23, legge n. 576/1980.

Tali ermeneutiche si reggono sul potere autonomo di revisione di cui è munita la Cassa Forense, ovvero l’accertamento della continuità dell’esercizio professionale (che rappresenta un requisito legale per il diritto alla prestazione) che risulta affidato ad una verifica da compiere sulla base di parametri stabiliti da determinazioni del comitato dei delegati della Cassa, alla quale la legge riconosce, a tal fine, una potestà autoregolamentare e in relazione alle comunicazioni obbligatorie periodiche effettuate dagli interessati, che consentono per ogni anno il controllo da parte della Cassa. Dunque, sussiste un obbligo in capo all’ente previdenziale degli avvocati di verificare l’esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione.
Nel caso di specie, la Cassa Forense non aveva colpevolmente provveduto in passato ad esercitare i poteri di revisione ex art. 3, legge n. 319/1975 nei confronti dell’Avvocato ricorrente, ma allo stesso tempo quest’ultimo non aveva ottemperato regolarmente agli obblighi di comunicazione periodica ex artt. 17 e 23, legge n. 576/1980 previsti per la professione di Avvocato.

Per questi motivi la Corte di Cassazione riteneva legittimo il potere della Cassa Forense di sindacare senza limiti sull’effettivo esercizio della professione di Avvocato dopo il deposito della domanda di pensionamento e pertanto rigettava il ricorso dell’Avvocato.

Dott. Ettore Salvatore Masullo

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Avvocati: il diritto alla pensione e i poteri di controllo della Cassa Forense

Con la sentenza n. 4092 del 2 marzo del 2016 la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione faceva chiarezza in merito ai requisiti necessari per esercitare il diritto al pensionamento da parte degli Avvocati nonché ai poteri di controllo della Cassa Forense.

La pronuncia in commento, traeva origine dal rigetto dalla domanda di pensione di anzianità ai sensi dell’art. 3, legge n. 576/1980 (sulla riforma del sistema previdenziale forense), da parte della Cassa Forense nei confronti un avvocato che dichiarava di aver sempre svolto con continuità la professione sin dal 1973, epoca dell’iscrizione all’albo degli Avvocati, in qualità di amministratore di società semplice, esercente attività agricola, costituente motivo della rilevata incompatibilità.

Il Tribunale riteneva parzialmente illegittima tale delibera impugnata, affermando che il potere della Cassa di accertare le situazioni di incompatibilità doveva ritenersi limitato al quinquennio precedente alla domanda. Tuttavia, il giudice di primo grado, rigettava il ricorso dell’Avvocato per mancato perfezionamento dell’anzianità contributiva necessaria alla maturazione del diritto alla pensione di anzianità, in quanto il ricorrente non aveva provato l’esercizio continuativo della professione nel quinquennio 1996 – 2002  per assenza di un collegamento funzionale tra attività forense e carica sociale ricoperta nello stesso periodo. La Corte d’Appello, pronunciando sulle opposte impugnazioni, rigettava quella proposta dal ricorrente ed accoglieva l’appello della Cassa, dichiarando che la stessa aveva diritto di sindacare senza limiti di tempo la compatibilità della professione forense con altre attività svolte dall’iscritto.

Chiamati a decidere in merito alla controversia suddetta, i Giudici della Corte di Cassazione hanno in prima battuta precisato che, ai sensi della legge numero 576/1980, la pensione di anzianità è corrisposta a coloro che abbiano maturato almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense e che, tale previsione va interpretata nel senso che l’iscrizione in tanto può ritenersi effettiva in quanto sia accompagnata dall’esercizio dell’attività professionale.

Su tale necessaria premessa, la Cassazione ha statuito entro quali limiti temporali la Cassa può verificare l’effettività dell’esercizio della professione, precisando che la continuità nell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense per i periodi anteriori al quinquennio precedente la domanda di pensione di anzianità, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione dalla stessa prevista dall’art. 3, legge n. 319/1975 e come modificato dall’art. 22, legge n. 576/1980 e l’interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23, legge n. 576/1980.

Tali ermeneutiche si reggono sul potere autonomo di revisione di cui è munita la Cassa Forense, ovvero l’accertamento della continuità dell’esercizio professionale (che rappresenta un requisito legale per il diritto alla prestazione) che risulta affidato ad una verifica da compiere sulla base di parametri stabiliti da determinazioni del comitato dei delegati della Cassa, alla quale la legge riconosce, a tal fine, una potestà autoregolamentare e in relazione alle comunicazioni obbligatorie periodiche effettuate dagli interessati, che consentono per ogni anno il controllo da parte della Cassa. Dunque, sussiste un obbligo in capo all’ente previdenziale degli avvocati di verificare l’esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione.
Nel caso di specie, la Cassa Forense non aveva colpevolmente provveduto in passato ad esercitare i poteri di revisione ex art. 3, legge n. 319/1975 nei confronti dell’Avvocato ricorrente, ma allo stesso tempo quest’ultimo non aveva ottemperato regolarmente agli obblighi di comunicazione periodica ex artt. 17 e 23, legge n. 576/1980 previsti per la professione di Avvocato.

Per questi motivi la Corte di Cassazione riteneva legittimo il potere della Cassa Forense di sindacare senza limiti sull’effettivo esercizio della professione di Avvocato dopo il deposito della domanda di pensionamento e pertanto rigettava il ricorso dell’Avvocato.

Dott. Ettore Salvatore Masullo

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