L’esame del DNA come strumento privilegiato per l’accertamento della paternità giudiziale
L’azione giudiziale di riconoscimento della paternità (o maternità) spetta al figlio maggiorenne che non sia stato riconosciuto da uno o entrambi i genitori oppure, nel caso di figlio minorenne, l’azione può essere promossa nel suo interesse dal genitore che lo abbia riconosciuto.
La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.
Prima della sentenza della Corte Costituzionale n° 50 del 2006 l’azione di riconoscimento giudiziale di paternità doveva necessariamente superare una fase preliminare nella quale erano verificati dal giudice i presupposti di ammissibilità per l’azione secondo quanto stabilito dall’art. 274 c.c..
In altre parole, prima che si iniziasse il giudizio di merito, il giudice doveva verificare le circostanze giustificative per la proposizione dell’azione indicate dall’art.274 c.c. ovvero elementi probatori idonei a far presumere un esito positivo del giudizio (es. prova della frequentazione sentimentale dei genitori).
La citata sentenza della Corte Costituzionale nel 2006 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. per violazione degli artt.3 comma 2, 24 e 111 comma 2 della costituzione in quanto la fase prodromica di accertamento dei presupposti per l’azione ha perso la sua funzione di filtro dal momento che l’evoluzione della tecnica (esame DNA) consente ormai di arrivare ad una decisione di merito in tempi brevissimi e con un grado di assoluta certezza.
Pertanto, ad oggi l’azione di accertamento della paternità (o maternità) va proposta direttamente al giudice di merito il quale potrà disporre immediatamente consulenza tecnica al fine di verificare la corrispondenza biologica tra padre e figlio.
Commento alla sentenza costituzionale n 50/2006
(Sentenza in attesa di pubblicazione)
Studio Scicchitano
L’esame del DNA come strumento privilegiato per l’accertamento della paternità giudiziale
L’azione giudiziale di riconoscimento della paternità (o maternità) spetta al figlio maggiorenne che non sia stato riconosciuto da uno o entrambi i genitori oppure, nel caso di figlio minorenne, l’azione può essere promossa nel suo interesse dal genitore che lo abbia riconosciuto.
La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui.
Prima della sentenza della Corte Costituzionale n° 50 del 2006 l’azione di riconoscimento giudiziale di paternità doveva necessariamente superare una fase preliminare nella quale erano verificati dal giudice i presupposti di ammissibilità per l’azione secondo quanto stabilito dall’art. 274 c.c..
In altre parole, prima che si iniziasse il giudizio di merito, il giudice doveva verificare le circostanze giustificative per la proposizione dell’azione indicate dall’art.274 c.c. ovvero elementi probatori idonei a far presumere un esito positivo del giudizio (es. prova della frequentazione sentimentale dei genitori).
La citata sentenza della Corte Costituzionale nel 2006 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. per violazione degli artt.3 comma 2, 24 e 111 comma 2 della costituzione in quanto la fase prodromica di accertamento dei presupposti per l’azione ha perso la sua funzione di filtro dal momento che l’evoluzione della tecnica (esame DNA) consente ormai di arrivare ad una decisione di merito in tempi brevissimi e con un grado di assoluta certezza.
Pertanto, ad oggi l’azione di accertamento della paternità (o maternità) va proposta direttamente al giudice di merito il quale potrà disporre immediatamente consulenza tecnica al fine di verificare la corrispondenza biologica tra padre e figlio.
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