Diritto fallimentare
Published On: 16 Maggio 2015Categories: Articoli, Diritto fallimentare

Danno Amministratore a società fallita, come viene liquidato?

Con sentenza n. 9100/2015 le Sezioni Unite vengono chiamate a dirimere un contrasto sorto tra le Sezioni Semplici relativamente ai criteri per individuare e liquidare il danno nell’azione sociale di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali contro l’Ex-Amministratore.

Partiamo dai fatti. La vicenda riguarda l’azione introdotta da un curatore fallimentare ai danni di un amministratore unico di una società di capitali reo di non aver custodito i beni sociali, di non aver tenuto i libri sociali e non aver predisposto i bilanci relativi a due esercizi né di aver presentato ai competenti uffici dell’erario le prescritte dichiarazioni fiscali riguardanti quei medesimi anni.

Sia in primo che in secondo grado il convenuto veniva condannato al risarcimento dei danni, liquidati nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare e ciò stante l’impossibilità di ricostruire l’effettiva situazione patrimoniale della società fallita a causa della mancanza delle scritture contabili, imputabile allo stesso amministratore.
L’Amministratore ricorreva in Cassazione.

La Prima Sezione della Cassazione, ravvisato un contrasto nella Giurisprudenza della Corte sul corretto criterio da utilizzare per la liquidazione del danno in caso di mancanza delle scritture contabili, rimetteva la questione al Primo Presidente. Le Sezioni Unite, dopo aver svolto una pregevole ricostruzione del quadro Giurisprudenziale di riferimento, si soffermano sul punto nevralgico del contrasto ossia se il mancato rinvenimento delle scritture contabili dell’impresa sia elemento idoneo e sufficiente per far addossare all’amministratore l’intero deficit patrimoniale dell’impresa.

Secondo la Corte: “la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità”.

In altri termini (vedi anche Cass. 5876/11 e 7606/11) l’omessa tenuta della contabilità integra la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, ed è di per sé (almeno potenzialmente) idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale. Da ciò però non può conseguire – in senso assoluto – che quel pregiudizio si identifichi nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare.

La Corte, pertanto conclude, affermando il seguente principio di diritto: “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto“.

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Published On: 16 Maggio 2015Categories: Articoli, Diritto fallimentareBy

Danno Amministratore a società fallita, come viene liquidato?

Con sentenza n. 9100/2015 le Sezioni Unite vengono chiamate a dirimere un contrasto sorto tra le Sezioni Semplici relativamente ai criteri per individuare e liquidare il danno nell’azione sociale di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali contro l’Ex-Amministratore.

Partiamo dai fatti. La vicenda riguarda l’azione introdotta da un curatore fallimentare ai danni di un amministratore unico di una società di capitali reo di non aver custodito i beni sociali, di non aver tenuto i libri sociali e non aver predisposto i bilanci relativi a due esercizi né di aver presentato ai competenti uffici dell’erario le prescritte dichiarazioni fiscali riguardanti quei medesimi anni.

Sia in primo che in secondo grado il convenuto veniva condannato al risarcimento dei danni, liquidati nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare e ciò stante l’impossibilità di ricostruire l’effettiva situazione patrimoniale della società fallita a causa della mancanza delle scritture contabili, imputabile allo stesso amministratore.
L’Amministratore ricorreva in Cassazione.

La Prima Sezione della Cassazione, ravvisato un contrasto nella Giurisprudenza della Corte sul corretto criterio da utilizzare per la liquidazione del danno in caso di mancanza delle scritture contabili, rimetteva la questione al Primo Presidente. Le Sezioni Unite, dopo aver svolto una pregevole ricostruzione del quadro Giurisprudenziale di riferimento, si soffermano sul punto nevralgico del contrasto ossia se il mancato rinvenimento delle scritture contabili dell’impresa sia elemento idoneo e sufficiente per far addossare all’amministratore l’intero deficit patrimoniale dell’impresa.

Secondo la Corte: “la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l’attività dell’impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità”.

In altri termini (vedi anche Cass. 5876/11 e 7606/11) l’omessa tenuta della contabilità integra la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, ed è di per sé (almeno potenzialmente) idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale. Da ciò però non può conseguire – in senso assoluto – che quel pregiudizio si identifichi nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare.

La Corte, pertanto conclude, affermando il seguente principio di diritto: “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto“.

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