Diritto penale
Published On: 6 Marzo 2014Categories: Articoli, Diritto Penale

Cassazione: quando si configura il reato di stalking

Con sentenza del 25 ottobre 2013, n. 46446 la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di stalking di cui all’art. 612-bis c.p., sono qualificati come persecutori quei comportamenti – quali telefonate, invio di sms, pedinamenti, ingiurie e diffamazioni – ingiustificati persino in una relazione burrascosa, caratterizzata dall’indecisione e dall’ambiguità dei comportamenti della persona offesa, inizialmente interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale col suo persecutore, ma successivamente risoluta nel voler interrompere la relazione.

La Suprema Corte, infatti, rileva come scopo della norma è la tutela della persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicché atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano la fattispecie criminosa contestata, anche nel caso in cui gli atti persecutori siano in qualche modo favoriti dall’atteggiamento equivoco della vittima.

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Published On: 6 Marzo 2014Categories: Articoli, Diritto PenaleBy

Cassazione: quando si configura il reato di stalking

Con sentenza del 25 ottobre 2013, n. 46446 la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale, ai fini della configurabilità del reato di stalking di cui all’art. 612-bis c.p., sono qualificati come persecutori quei comportamenti – quali telefonate, invio di sms, pedinamenti, ingiurie e diffamazioni – ingiustificati persino in una relazione burrascosa, caratterizzata dall’indecisione e dall’ambiguità dei comportamenti della persona offesa, inizialmente interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale col suo persecutore, ma successivamente risoluta nel voler interrompere la relazione.

La Suprema Corte, infatti, rileva come scopo della norma è la tutela della persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicché atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano la fattispecie criminosa contestata, anche nel caso in cui gli atti persecutori siano in qualche modo favoriti dall’atteggiamento equivoco della vittima.

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