
Cosa fare in caso di sentenza emessa in seguito a corruzione del Giudice
“La Corte ha stabilito che, nel caso di pronuncia di una sentenza viziata dalla corruzione del giudice, la parte che intenda dolersi di tale statuizione ha l’obbligo, e non la facoltà, di chiederne la revocazione ex art. 395 c.p.c.; ha soggiunto tuttavia la Corte che a tale regola generale si deve fare eccezione allorché la vittima del dolo del giudice non possa trarre alcun vantaggio giuridico dalla rimozione della sentenza frutto di corruzione, per essere divenuta nel frattempo impossibile la ricostituzione dello stato di cose anteriore. In tal caso, pertanto, è consentito alla vittima del reato domandare il risarcimento del danno al corruttore del giudice, senza previamente esperire il giudizio di revocazione. Per la stessa ragione, ha poi soggiunto la Corte, qualora la sentenza frutto di corruzione abbia indotto le parti, prima della scoperta del dolo, a transigere la lite, la vittima del reato di corruzione può domandare il risarcimento del danno senza previamente chiedere l’annullamento del contratto di transazione, invocando quale fatto illecito fonte di responsabilità aquiliana anche la sola violazione della regola di buona fede”.
La sentenza n. 21255/13 della Terza Sezione della Cassazione Civile, individua il percorso processuale da seguire nel remoto caso in cui la sentenza che ha deciso una controversia sia conseguenza della corruzione del Giudice.
Il rimedio previsto dal codice, ex art. 395 cpc, della revocazione della sentenza può apparire in concreto poco utile al soggetto danneggiato che potrà scegliere di tutelarsi percorrendo la strada del giudizio ordinario al fine di ottenere un risarcimento laddove il ripristino dello stato di cose anteriore alla sentenza sia divenuto impossibile.

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