
Licenziamento per denuncia anonima, correttezza e buona fede non rilevanti nella valutazione degli obblighi contrattuali
La Corte di Cassazione con la sentenza del 14 marzo 2013, n. 6501 si è pronunciata per la prima volta sulla validità dei provvedimenti disciplinari emanati dal datore di lavoro sulla base di denunce anonime.
Nel caso di specie, il dipendente di una società, insieme con altri colleghi, aveva esposto querela alla Procura della Repubblica, contro la società datrice di lavoro per denunciare delle asserite irregolarità di un appalto. La società querelata, successivamente alla ricezione di copia dell’esposto da parte di taluno rimasto anonimo, provvedeva al licenziamento dei dipendenti. Questi, ritenendo il licenziamento discriminatorio e ritorsivo, ricorrevano in giudizio per la reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo il dipendente, la società è tenuta all’adempimento degli obblighi contrattuali per mancanza di giusta causa/giustificato motivo del licenziamento e per violazione dei doveri di correttezza e buona fede.
La Suprema Corte, pronunciandosi sul caso, ha affermato che: la correttezza e la buona fede non sono rilevanti ai fini della valutazione degli obblighi contrattuali ed il loro rispetto non è obbligatorio da parte del datore di lavoro nel caso in cui la materia del contendere sia l’adempimento degli stessi da parte del lavoratore. Inoltre, la Corte ha ritenuto che il divieto di denunce anonime previsto negli artt. 240 e 330 c.p.p. si riferisca al solo procedimento penale e che la sua previsione abbia rilevanza a fini probatori. Non è escluso che successivamente a tale tipo di denunce possano iniziarsi delle indagini.

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