Gestire le crisi da sovraindebitamento e le fideiussioni omnibus dopo la Cassazione
Con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021 le Sezioni Unite, come noto, sono intervenute per risolvere il contrasto insorto tra le sezioni semplici circa gli effetti del riconoscimento della nullità delle clausole sulla fideiussione omnibus dello schema ABI 2002 (quelle ritenute dalla Banca d’Italia contrastanti con la disciplina antitrust) sul contratto di fideiussione stipulato a valle tra banca e cliente che le riporti pedissequamente.
La Corte ha inquadrato la fattispecie nello schema della nullità parziale.
Pertanto, qualora nel contratto di fideiussione tra cliente e banca siano riprodotte le tre clausole dichiarate nulle dalla Banca d’Italia nel 2005 (Provv. n. 55 del 2 maggio 2005), opera il “principio di conservazione” degli atti negoziali. Quindi, il contratto di fideiussione a valle è nullo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte.
La nullità si estende all’intero contratto solo laddove sia dimostrata la diversa volontà delle parti «nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità».
Ma quali sono, ad oggi, gli effetti di questa pronuncia sul contenzioso legato alle procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata del sovra indebitato, esdebitazione dell’incapiente, concordato minore)?
In effetti, spesso il sovraindebitamento è determinato – anche – da garanzie fideiussorie rilasciate in favore di terzi per le obbligazioni da questi assunte nei confronti di istituti finanziari.
Ove queste posizioni debitorie possano ricadere nell’ambito applicativo degli istituti previsti dal C.C.I. per la gestione della crisi del sovraindebitato, la citata sentenza della Cassazione diviene fondamentale.
Se nel contratto di fideiussione sono infatti previste clausole omnibus che riproducano lo schema ABI del 2002, nulle in quanto contrastanti con la disciplina antitrust, il sovraindebitato, se pure non può ottenere la nullità dell’intero contratto, non è privo di tutele.
Una delle clausole “nulle” più rilevanti è infatti quella che esonera l’istituto bancario dal rispettare il disposto dell’art. 1957 c.c. che espressamente prevede che “il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.
Ebbene, riconosciuta la nullità parziale del contratto in relazione a questa clausola – sulla scorta del decisum delle Sezioni Unite – la disposizione tornerà ad essere pienamente applicabile, con la conseguenza che il creditore che non abbia rispettato il termine di sei mesi per agire contro il debitore dovrà ritenersi decaduto dall’azione nei confronti del fideiussore.
L’istanza di cui all’art. 1957 c.c. deve essere intesa in senso giudiziale, e come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, per il creditore garantito, la semplice diffida non risulta idonea a scongiurare la decadenza prevista dalla disposizione (si veda Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 18779 del 28 luglio 2017 che onera il creditore garantito di insinuarsi al passivo del debitore soggetto a procedura concorsuale per non perdere la garanzia).
In sede di composizione della crisi, il sovraindebitato fideiussore, accertata l’eventuale decadenza del termine semestrale previsto per il creditore, potrà dunque liberarsi di queste passività e dedicarsi meno faticosamente al tentativo di risanamento, a nulla valendo la clausola prevista nel contratto con la banca che escluda l’applicazione dell’art. 1957 c.c. e permetta all’istituto di agire “senza limiti” nei suoi confronti, clausola che come si è già detto deve ritenersi pacificamente nulla.
Dott. Giuseppe Tarabuso
Gestire le crisi da sovraindebitamento e le fideiussioni omnibus dopo la Cassazione
Con la sentenza n. 41994 del 30 dicembre 2021 le Sezioni Unite, come noto, sono intervenute per risolvere il contrasto insorto tra le sezioni semplici circa gli effetti del riconoscimento della nullità delle clausole sulla fideiussione omnibus dello schema ABI 2002 (quelle ritenute dalla Banca d’Italia contrastanti con la disciplina antitrust) sul contratto di fideiussione stipulato a valle tra banca e cliente che le riporti pedissequamente.
La Corte ha inquadrato la fattispecie nello schema della nullità parziale.
Pertanto, qualora nel contratto di fideiussione tra cliente e banca siano riprodotte le tre clausole dichiarate nulle dalla Banca d’Italia nel 2005 (Provv. n. 55 del 2 maggio 2005), opera il “principio di conservazione” degli atti negoziali. Quindi, il contratto di fideiussione a valle è nullo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte.
La nullità si estende all’intero contratto solo laddove sia dimostrata la diversa volontà delle parti «nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità».
Ma quali sono, ad oggi, gli effetti di questa pronuncia sul contenzioso legato alle procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento (ristrutturazione dei debiti del consumatore, liquidazione controllata del sovra indebitato, esdebitazione dell’incapiente, concordato minore)?
In effetti, spesso il sovraindebitamento è determinato – anche – da garanzie fideiussorie rilasciate in favore di terzi per le obbligazioni da questi assunte nei confronti di istituti finanziari.
Ove queste posizioni debitorie possano ricadere nell’ambito applicativo degli istituti previsti dal C.C.I. per la gestione della crisi del sovraindebitato, la citata sentenza della Cassazione diviene fondamentale.
Se nel contratto di fideiussione sono infatti previste clausole omnibus che riproducano lo schema ABI del 2002, nulle in quanto contrastanti con la disciplina antitrust, il sovraindebitato, se pure non può ottenere la nullità dell’intero contratto, non è privo di tutele.
Una delle clausole “nulle” più rilevanti è infatti quella che esonera l’istituto bancario dal rispettare il disposto dell’art. 1957 c.c. che espressamente prevede che “il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.
Ebbene, riconosciuta la nullità parziale del contratto in relazione a questa clausola – sulla scorta del decisum delle Sezioni Unite – la disposizione tornerà ad essere pienamente applicabile, con la conseguenza che il creditore che non abbia rispettato il termine di sei mesi per agire contro il debitore dovrà ritenersi decaduto dall’azione nei confronti del fideiussore.
L’istanza di cui all’art. 1957 c.c. deve essere intesa in senso giudiziale, e come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, per il creditore garantito, la semplice diffida non risulta idonea a scongiurare la decadenza prevista dalla disposizione (si veda Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 18779 del 28 luglio 2017 che onera il creditore garantito di insinuarsi al passivo del debitore soggetto a procedura concorsuale per non perdere la garanzia).
In sede di composizione della crisi, il sovraindebitato fideiussore, accertata l’eventuale decadenza del termine semestrale previsto per il creditore, potrà dunque liberarsi di queste passività e dedicarsi meno faticosamente al tentativo di risanamento, a nulla valendo la clausola prevista nel contratto con la banca che escluda l’applicazione dell’art. 1957 c.c. e permetta all’istituto di agire “senza limiti” nei suoi confronti, clausola che come si è già detto deve ritenersi pacificamente nulla.
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