Associazioni, conseguenze della perdita della natura non commerciale
La natura del soggetto, la propria residenza e la relativa commercialità costituiscono i presupposti ineludibili affinché si possa differenziare l’ente avente ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale.
L’articolo preposto a disciplinare la natura delle associazioni quali enti non commerciali è l’art. 148 TUIR, il quale costituisce inoltre una disposizione dal carattere sistematico, ovvero prona a fungere alla trattazione di qualsivoglia prestazione priva del carattere di corrispettività.
Alcune recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione risultano chiarificatorie di quelle che sono le motivazioni e per giunta le conseguenze della perdita della qualifica di ente non commerciale.
Gli Ermellini qualificano come discrimen normativo la qualità di ente non commerciale o meno all’esercizio di attività economica in concreto svolta dagli stessi. Qualora infatti venisse accertato che l’ente di fatto svolgesse attività commerciale in modalità prevalente rispetto alla natura non commerciale è pacifico come sia suscettibile di rientrare a pieno titolo nell’attività di ente collettivo (Cass. Sez. V, 15 Novembre 2021, n. 34189).
È per giunta importante sottolineare come l’eventuale caducazione della qualifica di ente non commerciale sovvenga in forza dell’assenza del criterio di democraticità e partecipazione all’interno dell’associazione come disciplinato ex art. 148 TUIR. Secondo l’orientamento giurisprudenziale più consolidato, il rispetto e la salvaguardia di suddetti parametri vanno effettivamente accertati in termini sostanziali e non formali (Cass., Sez. V, 24 Ottobre 2014, n. 22644).
Qualora dunque l’associazione perda la qualità di ente non commerciale viene di riflesso ad essere assoggetta alla disciplina propria degli enti collettivi commerciali, con la conseguenza di imporre all’attenzione l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, tale per cui l’attività commerciale posta in essere dagli stessi deve ritenersi analoga a quella svolta dalle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 Giugno 2010, n. 14084).
Sulla falsariga di quanto sopra esposto, merita di essere condivisa un’ulteriore interpretazione giurisprudenziale sul tema, per cui l’eventuale perdita della natura de commercializzata dell’associazione comporta che qualora questa venisse svolta da una pluralità di associati in comune tra loro, la conseguente applicazione del regime di trasparenza cui gli stessi sono assoggettati è qualificabile alla stregua del regime imposto ai soci della medesima società di fatto.
Dott. Riccardo Tombolesi
Associazioni, conseguenze della perdita della natura non commerciale
La natura del soggetto, la propria residenza e la relativa commercialità costituiscono i presupposti ineludibili affinché si possa differenziare l’ente avente ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale.
L’articolo preposto a disciplinare la natura delle associazioni quali enti non commerciali è l’art. 148 TUIR, il quale costituisce inoltre una disposizione dal carattere sistematico, ovvero prona a fungere alla trattazione di qualsivoglia prestazione priva del carattere di corrispettività.
Alcune recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione risultano chiarificatorie di quelle che sono le motivazioni e per giunta le conseguenze della perdita della qualifica di ente non commerciale.
Gli Ermellini qualificano come discrimen normativo la qualità di ente non commerciale o meno all’esercizio di attività economica in concreto svolta dagli stessi. Qualora infatti venisse accertato che l’ente di fatto svolgesse attività commerciale in modalità prevalente rispetto alla natura non commerciale è pacifico come sia suscettibile di rientrare a pieno titolo nell’attività di ente collettivo (Cass. Sez. V, 15 Novembre 2021, n. 34189).
È per giunta importante sottolineare come l’eventuale caducazione della qualifica di ente non commerciale sovvenga in forza dell’assenza del criterio di democraticità e partecipazione all’interno dell’associazione come disciplinato ex art. 148 TUIR. Secondo l’orientamento giurisprudenziale più consolidato, il rispetto e la salvaguardia di suddetti parametri vanno effettivamente accertati in termini sostanziali e non formali (Cass., Sez. V, 24 Ottobre 2014, n. 22644).
Qualora dunque l’associazione perda la qualità di ente non commerciale viene di riflesso ad essere assoggetta alla disciplina propria degli enti collettivi commerciali, con la conseguenza di imporre all’attenzione l’assenza di un formale contratto scritto di società tra i soci, tale per cui l’attività commerciale posta in essere dagli stessi deve ritenersi analoga a quella svolta dalle società in nome collettivo irregolari (Cass., Sez. Lav., 11 Giugno 2010, n. 14084).
Sulla falsariga di quanto sopra esposto, merita di essere condivisa un’ulteriore interpretazione giurisprudenziale sul tema, per cui l’eventuale perdita della natura de commercializzata dell’associazione comporta che qualora questa venisse svolta da una pluralità di associati in comune tra loro, la conseguente applicazione del regime di trasparenza cui gli stessi sono assoggettati è qualificabile alla stregua del regime imposto ai soci della medesima società di fatto.
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