La società di consulenza fiscale risponde dei danni cagionati per imperizia o negligenza del socio
Con la recente ordinanza n. 34195/2022, la Corte di Cassazione (Sez. III Civile) ha manifestato una posizione alquanto stringente nell’affermare la diretta responsabilità di una società di consulenza fiscale e tributaria – e, con ciò, condannandola al risarcimento del danno – per la produzione di un danno (nei confronti di una società cliente) scaturente dal compimento di attività condotte dal singolo socio con imperizia o negligenza.
La vicenda fattuale prende le mosse dal ricorso presentato, dinanzi al Giudice di Pace di Asti, da una società cliente della società di consulenza in questione: i Giudici di merito hanno accolto le richieste attoree, condannando la società medesima al risarcimento del danno prodotto dalle condotte negligenti e imperite tenute da un singolo socio, condotte dalle quali era scaturito un accertamento della Guardia di Finanza a carico della società cliente dal quale, a sua volta, era derivata la contestazione di talune violazioni tributarie con contestuale notifica di avvisi di accertamento a loro carico. La medesima sentenza veniva confermata in Appello, provvedendo unicamente a ridurre l’ammontare del danno precedentemente quantificato nella misura degli importi che la società cliente era stata costretta a versare in forza dell’avviso di accertamento ricevuto.
Da ultimo, la società soccombente proponeva ricorso per Cassazione, sollevando cinque motivi di doglianza fra cui, nello specifico:
- Violazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione del principio di corrispondenza fra il petitum e il decisum da parte dei Giudici di merito, nella misura in cui gli stessi avevano condannato al risarcimento la società sebbene fosse stato accertato che la responsabilità dipendesse unicamente da condotte addebitabili, per imperizia e negligenza, ad un singolo socio;
- Violazione o falsa applicazione della legge (art. 360, co. 1 c.p.c.) laddove la sentenza correla automaticamente la posizione di socio/amministratore alle ipotesi di responsabilità per fatto degli ausiliari in capo alla società;
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso anche in relazione agli ulteriori motivi di doglianza, si è principalmente soffermata sulla suddetta questione, affermando la responsabilità della società per il risarcimento del danno cagionato da imperizia o negligenza di un singolo socio.
Nel dettaglio, la Corte ha infatti sostenuto che – nel caso di specie, essendo il socio in questione unico soggetto in possesso dei requisiti professionali per lo svolgimento delle attività di consulenza fiscale dalle quali era conseguito il danno – le condotte di quest’ultimo non potevano non essere ricondotte alla società medesima, della quale lo stesso soggetto era socio nonché amministratore unico, di tal che le proprie condotte “non potevano di certo considerarsi estranee a quelle della società”.
Pertanto, la Suprema Corte conclude che: “la sentenza impugnata ha, del tutto correttamente, considerato la responsabilità della società per condotte poste in essere dal suo socio e amministratore unico, unico soggetto in possesso dei requisiti professionali per lo svolgimento dell’attività di assistenza fiscale e tributaria”.
Dott. Alberto Grassi
La società di consulenza fiscale risponde dei danni cagionati per imperizia o negligenza del socio
Con la recente ordinanza n. 34195/2022, la Corte di Cassazione (Sez. III Civile) ha manifestato una posizione alquanto stringente nell’affermare la diretta responsabilità di una società di consulenza fiscale e tributaria – e, con ciò, condannandola al risarcimento del danno – per la produzione di un danno (nei confronti di una società cliente) scaturente dal compimento di attività condotte dal singolo socio con imperizia o negligenza.
La vicenda fattuale prende le mosse dal ricorso presentato, dinanzi al Giudice di Pace di Asti, da una società cliente della società di consulenza in questione: i Giudici di merito hanno accolto le richieste attoree, condannando la società medesima al risarcimento del danno prodotto dalle condotte negligenti e imperite tenute da un singolo socio, condotte dalle quali era scaturito un accertamento della Guardia di Finanza a carico della società cliente dal quale, a sua volta, era derivata la contestazione di talune violazioni tributarie con contestuale notifica di avvisi di accertamento a loro carico. La medesima sentenza veniva confermata in Appello, provvedendo unicamente a ridurre l’ammontare del danno precedentemente quantificato nella misura degli importi che la società cliente era stata costretta a versare in forza dell’avviso di accertamento ricevuto.
Da ultimo, la società soccombente proponeva ricorso per Cassazione, sollevando cinque motivi di doglianza fra cui, nello specifico:
- Violazione dell’art. 112 c.p.c., per violazione del principio di corrispondenza fra il petitum e il decisum da parte dei Giudici di merito, nella misura in cui gli stessi avevano condannato al risarcimento la società sebbene fosse stato accertato che la responsabilità dipendesse unicamente da condotte addebitabili, per imperizia e negligenza, ad un singolo socio;
- Violazione o falsa applicazione della legge (art. 360, co. 1 c.p.c.) laddove la sentenza correla automaticamente la posizione di socio/amministratore alle ipotesi di responsabilità per fatto degli ausiliari in capo alla società;
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso anche in relazione agli ulteriori motivi di doglianza, si è principalmente soffermata sulla suddetta questione, affermando la responsabilità della società per il risarcimento del danno cagionato da imperizia o negligenza di un singolo socio.
Nel dettaglio, la Corte ha infatti sostenuto che – nel caso di specie, essendo il socio in questione unico soggetto in possesso dei requisiti professionali per lo svolgimento delle attività di consulenza fiscale dalle quali era conseguito il danno – le condotte di quest’ultimo non potevano non essere ricondotte alla società medesima, della quale lo stesso soggetto era socio nonché amministratore unico, di tal che le proprie condotte “non potevano di certo considerarsi estranee a quelle della società”.
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