Published On: 28 Luglio 2022Categories: chiara verdone, Diritto civile

Comunione "de residuo": quali novità apportano le Sezioni Unite?

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 15889/2022, ha enunciato il seguente principio di diritto:

Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.

Diverse sono infatti le tesi della dottrina e della giurisprudenza sul punto, ragione per la quale la Suprema Corte ha deciso di optare per una soluzione/interpretazione che tiene in considerazione maggiormente il punto di vista di quella parte della dottrina che sostiene che la risposta al quesito debba essere diversa a seconda del bene da confrontare con l’istituto.

 La soluzione cui si giunge è quindi quella di contemplare insieme ai beni oggetto di comunione immediata (ovvero che ricadono direttamente nel patrimonio comune), una categoria di altri beni che invece diventano oggetto della comunione de residuo e quindi continuano ad essere personali durante tutto il periodo di vigenza del regime patrimoniale legali ma che, al contempo, richiamano la disciplina della comunione legale. 

Tale richiamo è dovuto al fatto che gli stessi sono sussistenti al momento dello scioglimento della comunione.

La Corte sottolinea inoltre che l’individuazione dei beni che ricadono nella comunione de residuo, fa riferimento agli articoli 177 lett. b) e c) e 178 c.c.,

Tali articoli, tra loro, differiscono nella formulazione letterale poiché l’art. 177 fa riferimento ai beni che

costituiscono oggetto» della comunione, se ed in quanto esistenti all’atto dello scioglimento, mentre l’art. 178 c.c. si riferisce ai beni destinati all’esercizio dell’impresa costituita da uno dei coniugi dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa, anche costituita precedentemente, «si considerano oggetto”.

È quindi evidente, in materia che particolare importanza è svolto anche dal ruolo centrale che le vicende familiari assumono nella fattispecie in oggetto nonché dall’esigenza di garantire sicurezza per il soddisfacimento degli altri concorrenti diritti di pari dignità costituzionale. 

Ciò, infatti, spinge a ritenere e privilegiare la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo. 

Tale tesi inoltre assicura la persistenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell’autonomia gestionale, quanto all’impresa, in capo all’altro coniuge, nelle ipotesi previste dall’art. 178 c.c., andando così a scongiurare un possibile pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, garantendo in quindi la conservazione dell’impresa, senza che le vicende dei coniugi possano avere su di essa una diretta influenza ed incidenza.

Le Sezioni Unite hanno dunque affermato quella che è la supremazia della natura creditizia del diritto in riferimento ai beni oggetto della comunione de residuo, attribuendo un diritto di compartecipazione sul piano creditizio, uguale alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto del regime di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.

Dott.ssa Chiara Verdone

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Comunione "de residuo": quali novità apportano le Sezioni Unite?

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 15889/2022, ha enunciato il seguente principio di diritto:

Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all’altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell’azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data”.

Diverse sono infatti le tesi della dottrina e della giurisprudenza sul punto, ragione per la quale la Suprema Corte ha deciso di optare per una soluzione/interpretazione che tiene in considerazione maggiormente il punto di vista di quella parte della dottrina che sostiene che la risposta al quesito debba essere diversa a seconda del bene da confrontare con l’istituto.

 La soluzione cui si giunge è quindi quella di contemplare insieme ai beni oggetto di comunione immediata (ovvero che ricadono direttamente nel patrimonio comune), una categoria di altri beni che invece diventano oggetto della comunione de residuo e quindi continuano ad essere personali durante tutto il periodo di vigenza del regime patrimoniale legali ma che, al contempo, richiamano la disciplina della comunione legale. 

Tale richiamo è dovuto al fatto che gli stessi sono sussistenti al momento dello scioglimento della comunione.

La Corte sottolinea inoltre che l’individuazione dei beni che ricadono nella comunione de residuo, fa riferimento agli articoli 177 lett. b) e c) e 178 c.c.,

Tali articoli, tra loro, differiscono nella formulazione letterale poiché l’art. 177 fa riferimento ai beni che

costituiscono oggetto» della comunione, se ed in quanto esistenti all’atto dello scioglimento, mentre l’art. 178 c.c. si riferisce ai beni destinati all’esercizio dell’impresa costituita da uno dei coniugi dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa, anche costituita precedentemente, «si considerano oggetto”.

È quindi evidente, in materia che particolare importanza è svolto anche dal ruolo centrale che le vicende familiari assumono nella fattispecie in oggetto nonché dall’esigenza di garantire sicurezza per il soddisfacimento degli altri concorrenti diritti di pari dignità costituzionale. 

Ciò, infatti, spinge a ritenere e privilegiare la tesi della natura creditizia del diritto sui beni oggetto della comunione de residuo. 

Tale tesi inoltre assicura la persistenza della disponibilità dei frutti e dei proventi e dell’autonomia gestionale, quanto all’impresa, in capo all’altro coniuge, nelle ipotesi previste dall’art. 178 c.c., andando così a scongiurare un possibile pregiudizio altresì per le ragioni dei creditori, garantendo in quindi la conservazione dell’impresa, senza che le vicende dei coniugi possano avere su di essa una diretta influenza ed incidenza.

Le Sezioni Unite hanno dunque affermato quella che è la supremazia della natura creditizia del diritto in riferimento ai beni oggetto della comunione de residuo, attribuendo un diritto di compartecipazione sul piano creditizio, uguale alla metà dell’ammontare del denaro o dei frutti oggetto del regime di comunione de residuo, ovvero del controvalore dei beni aziendali e degli eventuali incrementi, al netto delle passività.

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