Assegno di mantenimento e fallimento impresa coniuge
Nella decisione circa la corresponsione dell’assegno di mantenimento si deve tener conto del fallimento dell’impresa del coniuge.
Nel pronunciare la separazione tra due coniugi, il Tribunale di Pordenone aveva assegnato alla moglie la casa coniugale, ponendo altresì a carico del marito un assegno mensile per il mantenimento della figlia di €400,00 (oltre all’80% delle spese straordinarie) e in favore della moglie di €1.000,00 (cui andava aggiunta la condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata da lite temeraria).
In seguito al rigetto dell’appello, il coniuge ha quindi avanzato ricorso per cassazione, sollevando i seguenti motivi di ricorso:
- In prima battuta, si fa presente che la Corte ha omesso d’indicare le ragioni per le quali è stata valorizzata la sua capacità economica, il lavoro nell’impresa del figlio e l’assegnazione della casa coniugale in favore della ex moglie;
- In collegamento al primo motivo, si contesta anche il ricorso a presunzioni per individuare la sua capacità economica, senza precisare quali sono gli indizi gravi, precisi e concordanti in base ai quali lo stesso è stato ritenuto possedere una certa capacità economica;
- Viene poi lamentata l’omessa motivazione nel provvedimento impugnato sulla inadeguatezza dei mezzi della moglie, che non reca alcun riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, nonché il mancato raggiungimento della prova in ordine all’assenza di redditi adeguati in capo al coniuge richiedente il mantenimento, presupposto indefettibile della domanda;
- Si rileva la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato perché il giudice non si era neppure pronunciato sull’istanza con cui aveva chiesto l’assegnazione della metà della casa coniugale;
- Viene criticata la mancata pronuncia sul rilevato errore del giudice di primo grado circa la non ammissione di alcune prove e contestazione della decisione di condanna per lite temeraria;
- Da ultimo, viene denunciata l’omessa valutazione delle mutate condizioni economiche dopo il fallimento, del peggioramento delle sue condizioni di salute e del suo attuale stato di disoccupazione in relazione alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie.
Per la Suprema Corte di Cassazione, nel riconoscere alla moglie il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve spiegare perché la stessa non può lavorare, se il marito è fallito, disoccupato o invalido.
In particolare, nel caso posto all’esame della I sezione civile della Corte di Cassazione (ordinanza n. 40280/21) il giudice di merito non aveva tenuto conto, nella commisurazione dell’assegno di mantenimento e nell’assegnazione della casa familiare alla donna, della circostanza secondo cui, a seguito del fallimento, l’uomo era rimasto disoccupato, e provvedeva a sé stesso, alla moglie, e alla figlia, impiegando alcune polizze che aveva provveduto a smobilizzare. La Suprema Corte ha dunque affidato al giudice del rinvio il compito di decidere in relazione ai motivi accolti e sulle spese del giudizio di legittimità.
Assegno di mantenimento e fallimento impresa coniuge
Nella decisione circa la corresponsione dell’assegno di mantenimento si deve tener conto del fallimento dell’impresa del coniuge.
Nel pronunciare la separazione tra due coniugi, il Tribunale di Pordenone aveva assegnato alla moglie la casa coniugale, ponendo altresì a carico del marito un assegno mensile per il mantenimento della figlia di €400,00 (oltre all’80% delle spese straordinarie) e in favore della moglie di €1.000,00 (cui andava aggiunta la condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata da lite temeraria).
In seguito al rigetto dell’appello, il coniuge ha quindi avanzato ricorso per cassazione, sollevando i seguenti motivi di ricorso:
- In prima battuta, si fa presente che la Corte ha omesso d’indicare le ragioni per le quali è stata valorizzata la sua capacità economica, il lavoro nell’impresa del figlio e l’assegnazione della casa coniugale in favore della ex moglie;
- In collegamento al primo motivo, si contesta anche il ricorso a presunzioni per individuare la sua capacità economica, senza precisare quali sono gli indizi gravi, precisi e concordanti in base ai quali lo stesso è stato ritenuto possedere una certa capacità economica;
- Viene poi lamentata l’omessa motivazione nel provvedimento impugnato sulla inadeguatezza dei mezzi della moglie, che non reca alcun riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, nonché il mancato raggiungimento della prova in ordine all’assenza di redditi adeguati in capo al coniuge richiedente il mantenimento, presupposto indefettibile della domanda;
- Si rileva la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato perché il giudice non si era neppure pronunciato sull’istanza con cui aveva chiesto l’assegnazione della metà della casa coniugale;
- Viene criticata la mancata pronuncia sul rilevato errore del giudice di primo grado circa la non ammissione di alcune prove e contestazione della decisione di condanna per lite temeraria;
- Da ultimo, viene denunciata l’omessa valutazione delle mutate condizioni economiche dopo il fallimento, del peggioramento delle sue condizioni di salute e del suo attuale stato di disoccupazione in relazione alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie.
Per la Suprema Corte di Cassazione, nel riconoscere alla moglie il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, il giudice deve spiegare perché la stessa non può lavorare, se il marito è fallito, disoccupato o invalido.
In particolare, nel caso posto all’esame della I sezione civile della Corte di Cassazione (ordinanza n. 40280/21) il giudice di merito non aveva tenuto conto, nella commisurazione dell’assegno di mantenimento e nell’assegnazione della casa familiare alla donna, della circostanza secondo cui, a seguito del fallimento, l’uomo era rimasto disoccupato, e provvedeva a sé stesso, alla moglie, e alla figlia, impiegando alcune polizze che aveva provveduto a smobilizzare. La Suprema Corte ha dunque affidato al giudice del rinvio il compito di decidere in relazione ai motivi accolti e sulle spese del giudizio di legittimità.
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