L’autocertificazione compilata con motivi infondati non è mai un reato
Con sentenza n. 54 del 2021, la Sezione GIP-GUP del Tribunale di Reggio Emilia ha stabilito che la compilazione di una falsa autocertificazione non ha rilevanza penale.
In questo caso il GIP ha quindi pronunciato sentenza di proscioglimento per insussistenza del reato di cui all’art. 483 c.p., commesso da una coppia che aveva sostanzialmente compilato un’autocertificazione attestando falsamente l’una di essersi sottoposta a degli esamini clinici, ed il compagno di averla accompagnata.
La contestazione sollevata alla coppia riguarda il giustificare il proprio allontanamento dall’obbligazione e quindi, nello specifico, l’obbligo di compilare l’autocertificazione assumendosi la responsabilità della veridicità delle dichiarazioni rese.
Secondo il GIP:
“tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa”.
La pronuncia rappresenta un espediente significativo dal momento che evidenzia come non si configura un falso ideologico in atto pubblico per effetto della trasgressione di un Dpcm, il quale è stato adottato al fine di prevedere un obbligo di permanenza domiciliare che può e sicuramente è esser visto come una limitazione della libertà personale, la quale può essere ordinata o comunque valutata dall’autorità giudiziaria.
In sostanza, dalla disapplicazione delle norme previste dal D.P.C.M., le quali impongono la compilazione e la sottoscrizione dell’autocertificazione, ne deriva un falso ideologico innocuo e pertanto è previsto il proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato.
L’articolo 13 della Costituzione stabilisce espressamente che:
“La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Dalla lettura della norma sopra citata e secondo quanto argomentato dalla sentenza in esame è di palese evidenza che un D.P.C.M., e quindi un atto regolamentare di rango secondario nella gerarchia delle fonti di natura giuridica, non è idoneo a disporre un obbligo di permanenza in casa.
Ma il GIP di Reggio Emilia non si è limitato semplicemente all’analisi del D.P.C.M. bensì si è spinto ad osservare che, un obbligo di permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità di soggetti/cittadini e dunque una limitazione della propria libertà personale, non può essere neppure previsto da una legge o un decreto legge, seppur in via generale e astratta, nel nostro ordinamento “posto che l’articolo 13 della Costituzione postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto”.
La pronuncia ricorda poi che, poiché il D.P.C.M rappresenta un atto amministrativo, per il Giudice ordinario non è necessario un rinvio della questione alla Consulta perchè ne venga dichiarata l’illegittimità.
Ed infatti, al fine di disapplicare un D.P.C.M. è più che sufficiente l’intervento della magistratura.
Per il giudice di Reggio Emilia quindi il Dpcm è illegittimo per violazione dell’articolo 13 della Costituzione e la redazione dell’autocertificazione rappresenta una costrizione “incompatibile con lo stato di diritto del nostro paese”.
In conclusione, sulla base di quanto sopra enunciato la falsità del documento, provata negli atti, non ha i connotati dell’antigiuridicità e non deve essere punita sul piano penale.
L’autocertificazione compilata con motivi infondati non è mai un reato
Con sentenza n. 54 del 2021, la Sezione GIP-GUP del Tribunale di Reggio Emilia ha stabilito che la compilazione di una falsa autocertificazione non ha rilevanza penale.
In questo caso il GIP ha quindi pronunciato sentenza di proscioglimento per insussistenza del reato di cui all’art. 483 c.p., commesso da una coppia che aveva sostanzialmente compilato un’autocertificazione attestando falsamente l’una di essersi sottoposta a degli esamini clinici, ed il compagno di averla accompagnata.
La contestazione sollevata alla coppia riguarda il giustificare il proprio allontanamento dall’obbligazione e quindi, nello specifico, l’obbligo di compilare l’autocertificazione assumendosi la responsabilità della veridicità delle dichiarazioni rese.
Secondo il GIP:
“tale disposizione, stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa”.
La pronuncia rappresenta un espediente significativo dal momento che evidenzia come non si configura un falso ideologico in atto pubblico per effetto della trasgressione di un Dpcm, il quale è stato adottato al fine di prevedere un obbligo di permanenza domiciliare che può e sicuramente è esser visto come una limitazione della libertà personale, la quale può essere ordinata o comunque valutata dall’autorità giudiziaria.
In sostanza, dalla disapplicazione delle norme previste dal D.P.C.M., le quali impongono la compilazione e la sottoscrizione dell’autocertificazione, ne deriva un falso ideologico innocuo e pertanto è previsto il proscioglimento, nei confronti di ciascun imputato, perché il fatto non costituisce reato.
L’articolo 13 della Costituzione stabilisce espressamente che:
“La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
Dalla lettura della norma sopra citata e secondo quanto argomentato dalla sentenza in esame è di palese evidenza che un D.P.C.M., e quindi un atto regolamentare di rango secondario nella gerarchia delle fonti di natura giuridica, non è idoneo a disporre un obbligo di permanenza in casa.
Ma il GIP di Reggio Emilia non si è limitato semplicemente all’analisi del D.P.C.M. bensì si è spinto ad osservare che, un obbligo di permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità di soggetti/cittadini e dunque una limitazione della propria libertà personale, non può essere neppure previsto da una legge o un decreto legge, seppur in via generale e astratta, nel nostro ordinamento “posto che l’articolo 13 della Costituzione postula una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, implicando necessariamente un provvedimento individuale, diretto dunque nei confronti di uno specifico soggetto”.
La pronuncia ricorda poi che, poiché il D.P.C.M rappresenta un atto amministrativo, per il Giudice ordinario non è necessario un rinvio della questione alla Consulta perchè ne venga dichiarata l’illegittimità.
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