
Furto merce sul lavoro: licenziamento illegittimo se è scaduta
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27695 emessa in data 25.10.2024, ha stabilito che è illegittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore autore di furto di merce – scaduta e di modico valore – dalla fornitura del datore di lavoro.
La vicenda riguardava il licenziamento per giusta causa di un dipendente da parte di una società, accusato di aver sottratto merce aziendale scaduta e di modico valore, più nello specifico di due confezioni di carne avariata. La Corte di Appello di Palermo, confermando la decisione di primo grado, stabiliva l’illegittimità del licenziamento per “insussistenza del fatto addebitato” e ordinava al datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e risarcire i danni.
La Corte territoriale rilevava che la società aveva violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare, ossia aveva modificato gli addebiti dopo la formulazione della contestazione, inserendo tra le nuove accuse la “violazione di regole operative per lo smaltimento corretto dei prodotti avariati o scaduti”.
Il licenziamento è in ogni caso illegittimo poiché non ci sono stati fatti che giustificassero una grave violazione degli obblighi lavorativi, dato che si trattava di merce scaduta priva di valore patrimoniale per l’azienda.
Oltre a quanto già menzionato, si accertava altresì che non vi fosse intenzionalità da parte del dipendente nell’infrangere le regole operative per le operazioni di smaltimento dei prodotti non più commerciabili.
Infatti, durante i giudizi di merito emergeva una significativa incertezza sull’effettiva conoscenza delle istruzioni operative da parte del lavoratore. Considerata l’inoffensività della condotta addebitata, tale da ridurre fino a neutralizzarla la portata antigiuridica, i Giudici d’Appello applicavano il regime della reintegra previsto dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.
A seguito di tale sentenza, la società presentava ricorso per Cassazione, contestando tra l’altro che la Corte territoriale avesse erroneamente concluso che non fosse stata fornita prova della conoscenza della procedura di smaltimento degli scarti da parte del lavoratore, nonostante la produzione di dichiarazioni testimoniali rese dal dipendente in questione nell’ambito di un altro procedimento giudiziario.
Inoltre, secondo la società, doveva ritenersi sussistente l’antigiuridicità del comportamento del dipendente, il quale era ben consapevole che i prodotti scaduti dovevano essere smaltiti all’interno del reparto stesso in appositi bidoni e non portati a casa dei singoli dipendenti per lo smaltimento.
La Corte di Cassazione con la suddetta ordinanza rigettava il ricorso presentato dalla società, ritenendolo infondato. Difatti, i giudici rilevavano che la società non avesse eccepito un’erronea interpretazione della legge, ma un vizio relativo al caso concreto, richiedendo una valutazione della fattispecie specifica.
Pertanto, il sindacato della Cassazione è stato limitato, ma i giudici hanno comunque appurato che le corti di merito avevano correttamente applicato l’art. 2119 c.c. sulla giusta causa di licenziamento, valorizzando principi costituzionali e norme collettive.
Dott. Raffaele Neri

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La Corte territoriale rilevava che la società aveva violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare, ossia aveva modificato gli addebiti dopo la formulazione della contestazione, inserendo tra le nuove accuse la “violazione di regole operative per lo smaltimento corretto dei prodotti avariati o scaduti”.
Il licenziamento è in ogni caso illegittimo poiché non ci sono stati fatti che giustificassero una grave violazione degli obblighi lavorativi, dato che si trattava di merce scaduta priva di valore patrimoniale per l’azienda.
Oltre a quanto già menzionato, si accertava altresì che non vi fosse intenzionalità da parte del dipendente nell’infrangere le regole operative per le operazioni di smaltimento dei prodotti non più commerciabili.
Infatti, durante i giudizi di merito emergeva una significativa incertezza sull’effettiva conoscenza delle istruzioni operative da parte del lavoratore. Considerata l’inoffensività della condotta addebitata, tale da ridurre fino a neutralizzarla la portata antigiuridica, i Giudici d’Appello applicavano il regime della reintegra previsto dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.
A seguito di tale sentenza, la società presentava ricorso per Cassazione, contestando tra l’altro che la Corte territoriale avesse erroneamente concluso che non fosse stata fornita prova della conoscenza della procedura di smaltimento degli scarti da parte del lavoratore, nonostante la produzione di dichiarazioni testimoniali rese dal dipendente in questione nell’ambito di un altro procedimento giudiziario.
Inoltre, secondo la società, doveva ritenersi sussistente l’antigiuridicità del comportamento del dipendente, il quale era ben consapevole che i prodotti scaduti dovevano essere smaltiti all’interno del reparto stesso in appositi bidoni e non portati a casa dei singoli dipendenti per lo smaltimento.
La Corte di Cassazione con la suddetta ordinanza rigettava il ricorso presentato dalla società, ritenendolo infondato. Difatti, i giudici rilevavano che la società non avesse eccepito un’erronea interpretazione della legge, ma un vizio relativo al caso concreto, richiedendo una valutazione della fattispecie specifica.
Pertanto, il sindacato della Cassazione è stato limitato, ma i giudici hanno comunque appurato che le corti di merito avevano correttamente applicato l’art. 2119 c.c. sulla giusta causa di licenziamento, valorizzando principi costituzionali e norme collettive.
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