Stato di involontaria disoccupazione – decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore
La disoccupazione involontaria è la condizione in cui si trova il lavoratore che perde l’impiego per le cause previste dalla legge.
Per superare questa condizione la legge affianca alle politiche attive di ricerca del lavoro e di riqualificazione professionale, alcune misure economiche come la NASpI, la Dis-coll e la ASDI.
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego – meglio nota con l’acronimo NASPI – rappresenta l’indennità di disoccupazione riconosciuta mensilmente dall’INPS ai lavoratori e alle lavoratrici che perdono il lavoro involontariamente.
Per poterla ricevere, gli interessati devono presentare domanda all’INPS.
Precisa l’INPS che l’indennità di disoccupazione involontaria è una prestazione previdenziale volta a garantire la percezione di un sostegno economico per il periodo ragionevolmente occorrente per la ricerca di un nuovo lavoro a favore di chi abbia perduto una precedente occupazione. Deduce che si tratta di un indennizzo conseguente alla mancanza di lavoro dipesa dalla non volontarietà dello stato di disoccupazione.
Conseguentemente, essa sostiene che ove non si ravvisi lo stato di disoccupazione, neppure esiste il diritto alla prestazione.
Ma cosa accade nel caso in cui, durante lo stato di involontaria disoccupazione, interviene una decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore? Quali, dunque, le conseguenze?
Non è mancato sul punto un recente ed incisivo intervento della Corte di Cassazione.
Con la nota ordinanza interlocutoria n. 22985 del 2024, gli Ermellini – dopo aver ribadito l’idoneità dell’indennità a ristorare per intero il pregiudizio subito nel periodo intercorrente tra la cessazione del contratto e la declaratoria di nullità del termine e, confermata la sua legittimità costituzionale – hanno tuttavia precisato che:
in forza della ricostituzione ex tunc del rapporto subordinato a tempo indeterminato, viene meno la condizione di disoccupazione che determina l’erogazione dell’indennità di mobilità (così come dell’indennità di disoccupazione involontaria) che sia stata corrisposta nel periodo temporale coperto dalla sentenza (e dall’indennità risarcitoria ex art. 32 della l. n. 183 del 2010) e che pertanto può ritenersi configurabile un indebito previdenziale, ripetibile – ai sensi dell’art. 2033 c.c. – entro il limite temporale della prescrizione.
Del resto, la Corte era pervenuta a tale ragionamento già con le ordinanze n. 384 del 05/01/2024 e n. 584 del 09/01/2024 ritenendo ripetibile ai sensi dell’art. 2033 c.c., l’indennità di mobilità erogata a lavoratori il cui licenziamento fosse stato poi dichiarato illegittimo con applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 della legge 30 maggio 1970 n. 300 del 1970 nel testo modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92.
In virtù dell’applicazione degli stessi principi precedentemente dettati, con l’ordinanza n. 24645/2013 si è ritenuto che per effetto della disposta reintegrazione fosse venuto meno il presupposto in relazione al quale la procedura era stata avviata.
Peraltro, in quel caso specifico si è ritenuto del tutto irrilevante che lo stato di disoccupazione involontaria (di fatto) fosse coperto solo in parte dall’indennità risarcitoria, posto che per effetto della reintegrazione (n.d.r. diversamente da quanto avviene per il contratto il cui termine sia dichiarato illegittimo) sono pienamente dovuti i contributi previdenziali per il periodo ricostituito di lavoro.
In particolare, si è accertato che l’eliminazione solo parziale dello stato di bisogno sul piano fattuale non esclude l’indebito che è ripetibile ex articolo 2033 c.c., sia pur entro il limite temporale della prescrizione, per giunta senza che abbia rilevanza alcuna – quale ostacolo alla ripetizione – lo stato di bisogno dell’interessato.
CONCLUSIONE
In definitiva, dunque, poiché quando si parla di “stato di involontaria disoccupazione” l’evento coperto dal trattamento è “l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro[1]”, ne consegue che detto stato è da ritenersi incompatibile con la decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore.
Conseguenza di ciò è la configurabilità di un indebito previdenziale, ripetibile – ai sensi dell’art. 2033 c.c. – entro il limite temporale della prescrizione.
Dott.ssa Luana Di Giovanni
[1] Vd. Corte di Cassazone, ordinanza interlocutoria n. 22985 del 21.08.2024.
Stato di involontaria disoccupazione – decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore
La disoccupazione involontaria è la condizione in cui si trova il lavoratore che perde l’impiego per le cause previste dalla legge.
Per superare questa condizione la legge affianca alle politiche attive di ricerca del lavoro e di riqualificazione professionale, alcune misure economiche come la NASpI, la Dis-coll e la ASDI.
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego – meglio nota con l’acronimo NASPI – rappresenta l’indennità di disoccupazione riconosciuta mensilmente dall’INPS ai lavoratori e alle lavoratrici che perdono il lavoro involontariamente.
Per poterla ricevere, gli interessati devono presentare domanda all’INPS.
Precisa l’INPS che l’indennità di disoccupazione involontaria è una prestazione previdenziale volta a garantire la percezione di un sostegno economico per il periodo ragionevolmente occorrente per la ricerca di un nuovo lavoro a favore di chi abbia perduto una precedente occupazione. Deduce che si tratta di un indennizzo conseguente alla mancanza di lavoro dipesa dalla non volontarietà dello stato di disoccupazione.
Conseguentemente, essa sostiene che ove non si ravvisi lo stato di disoccupazione, neppure esiste il diritto alla prestazione.
Ma cosa accade nel caso in cui, durante lo stato di involontaria disoccupazione, interviene una decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore? Quali, dunque, le conseguenze?
Non è mancato sul punto un recente ed incisivo intervento della Corte di Cassazione.
Con la nota ordinanza interlocutoria n. 22985 del 2024, gli Ermellini – dopo aver ribadito l’idoneità dell’indennità a ristorare per intero il pregiudizio subito nel periodo intercorrente tra la cessazione del contratto e la declaratoria di nullità del termine e, confermata la sua legittimità costituzionale – hanno tuttavia precisato che:
in forza della ricostituzione ex tunc del rapporto subordinato a tempo indeterminato, viene meno la condizione di disoccupazione che determina l’erogazione dell’indennità di mobilità (così come dell’indennità di disoccupazione involontaria) che sia stata corrisposta nel periodo temporale coperto dalla sentenza (e dall’indennità risarcitoria ex art. 32 della l. n. 183 del 2010) e che pertanto può ritenersi configurabile un indebito previdenziale, ripetibile – ai sensi dell’art. 2033 c.c. – entro il limite temporale della prescrizione.
Del resto, la Corte era pervenuta a tale ragionamento già con le ordinanze n. 384 del 05/01/2024 e n. 584 del 09/01/2024 ritenendo ripetibile ai sensi dell’art. 2033 c.c., l’indennità di mobilità erogata a lavoratori il cui licenziamento fosse stato poi dichiarato illegittimo con applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18 comma 4 della legge 30 maggio 1970 n. 300 del 1970 nel testo modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92.
In virtù dell’applicazione degli stessi principi precedentemente dettati, con l’ordinanza n. 24645/2013 si è ritenuto che per effetto della disposta reintegrazione fosse venuto meno il presupposto in relazione al quale la procedura era stata avviata.
Peraltro, in quel caso specifico si è ritenuto del tutto irrilevante che lo stato di disoccupazione involontaria (di fatto) fosse coperto solo in parte dall’indennità risarcitoria, posto che per effetto della reintegrazione (n.d.r. diversamente da quanto avviene per il contratto il cui termine sia dichiarato illegittimo) sono pienamente dovuti i contributi previdenziali per il periodo ricostituito di lavoro.
In particolare, si è accertato che l’eliminazione solo parziale dello stato di bisogno sul piano fattuale non esclude l’indebito che è ripetibile ex articolo 2033 c.c., sia pur entro il limite temporale della prescrizione, per giunta senza che abbia rilevanza alcuna – quale ostacolo alla ripetizione – lo stato di bisogno dell’interessato.
CONCLUSIONE
In definitiva, dunque, poiché quando si parla di “stato di involontaria disoccupazione” l’evento coperto dal trattamento è “l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro[1]”, ne consegue che detto stato è da ritenersi incompatibile con la decisione giudiziale che ripristina il rapporto di lavoro e condanna al pagamento di indennità in favore del lavoratore.
Conseguenza di ciò è la configurabilità di un indebito previdenziale, ripetibile – ai sensi dell’art. 2033 c.c. – entro il limite temporale della prescrizione.
Dott.ssa Luana Di Giovanni
[1] Vd. Corte di Cassazone, ordinanza interlocutoria n. 22985 del 21.08.2024.
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