Lite temeraria se si ricorre in Cassazione ignorando la giurisprudenza consolidata
Con una recentissima ordinanza del 27.10.2023 n. 29831 la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “Ricorrono i presupposti di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., la quale, a differenza di quella di cui ai primi due commi, non richiede la domanda di parte, né la prova del danno, esigendo solo, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda – coinvolgendo l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé – mentre non sarebbe sufficiente di per sé l’infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate”.
Sul punto erano, nel 2022, già intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione le quali avevano deliberato che: “costituisce infatti indice di mala fede o colpa grave – e, quindi, di abuso del diritto di impugnazione – la proposizione di un ricorso per cassazione senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza o inammissibilità della propria posizione, ovvero senza compiere alcuno sforzo interpretativo, deduttivo ed argomentativo per mettere in discussione, con criteri e metodo di scientificità, il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, sia pure solo con riferimento alla fattispecie concreta” (Cass. Sez. U, 32001/2022).
La pronuncia ha rappresentato un’innovazione nel campo della condanna per responsabilità aggravata.
Secondo il puro e semplice dato normativo, infatti, la responsabilità aggravata è disciplinata nel nostro codice di procedura civile all’art. 96 c.p.c. avendo come presupposti la mala fede o colpa grave di una delle parti.
È proprio all’art. 96 c.p.c. ed ai suoi primi tre commi che bisogna rivolgere l’attenzione dal momento che trattasi di tre tipologie di responsabilità aggravata differenti.
Per quanto riguarda tuttavia la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 comma 1 c.p.c.: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]”.
La responsabilità aggravata di cui all’art. 96 comma 2 c.p.c. disciplina – al contrario – la seguente situazione: “Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”.
Il comma che invece – alla luce dell’ordinanza in analisi – viene all’attenzione è il comma 3 dell’art. 96 c.p.c. il quale recita espressamente: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Tale tipologia di responsabilità aggravata (Art. 96 co. 3 c.p.c.), differentemente da quella di cui ai primi due precedenti commi, non necessita né richiede la domanda di parte, o la prova del danno. Essa infatti esige, da un punto di vista meramente soggettivo, la sola mala fede o la colpa grave della parte soccombente.
E’ proprio tale aspetto soggettivo che assume profili rilevanti in ipotesi di violazione del minimo grado di diligenza che consente di riscontrare piuttosto facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda.
Tale ultimo aspetto, dunque, rientra pienamente nelle ipotesi di un soggetto che ricorre in Cassazione in aperta violazione dei principi di diritto enunciati da giurisprudenza consolidata.
Dott.ssa Chiara Verdone
Lite temeraria se si ricorre in Cassazione ignorando la giurisprudenza consolidata
Con una recentissima ordinanza del 27.10.2023 n. 29831 la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “Ricorrono i presupposti di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., la quale, a differenza di quella di cui ai primi due commi, non richiede la domanda di parte, né la prova del danno, esigendo solo, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda – coinvolgendo l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicché possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in sé – mentre non sarebbe sufficiente di per sé l’infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate”.
Sul punto erano, nel 2022, già intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione le quali avevano deliberato che: “costituisce infatti indice di mala fede o colpa grave – e, quindi, di abuso del diritto di impugnazione – la proposizione di un ricorso per cassazione senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza o inammissibilità della propria posizione, ovvero senza compiere alcuno sforzo interpretativo, deduttivo ed argomentativo per mettere in discussione, con criteri e metodo di scientificità, il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, sia pure solo con riferimento alla fattispecie concreta” (Cass. Sez. U, 32001/2022).
La pronuncia ha rappresentato un’innovazione nel campo della condanna per responsabilità aggravata.
Secondo il puro e semplice dato normativo, infatti, la responsabilità aggravata è disciplinata nel nostro codice di procedura civile all’art. 96 c.p.c. avendo come presupposti la mala fede o colpa grave di una delle parti.
È proprio all’art. 96 c.p.c. ed ai suoi primi tre commi che bisogna rivolgere l’attenzione dal momento che trattasi di tre tipologie di responsabilità aggravata differenti.
Per quanto riguarda tuttavia la responsabilità aggravata di cui all’art. 96 comma 1 c.p.c.: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]”.
La responsabilità aggravata di cui all’art. 96 comma 2 c.p.c. disciplina – al contrario – la seguente situazione: “Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente”.
Il comma che invece – alla luce dell’ordinanza in analisi – viene all’attenzione è il comma 3 dell’art. 96 c.p.c. il quale recita espressamente: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Tale tipologia di responsabilità aggravata (Art. 96 co. 3 c.p.c.), differentemente da quella di cui ai primi due precedenti commi, non necessita né richiede la domanda di parte, o la prova del danno. Essa infatti esige, da un punto di vista meramente soggettivo, la sola mala fede o la colpa grave della parte soccombente.
E’ proprio tale aspetto soggettivo che assume profili rilevanti in ipotesi di violazione del minimo grado di diligenza che consente di riscontrare piuttosto facilmente l’infondatezza o l’inammissibilità della propria domanda.
Tale ultimo aspetto, dunque, rientra pienamente nelle ipotesi di un soggetto che ricorre in Cassazione in aperta violazione dei principi di diritto enunciati da giurisprudenza consolidata.
Dott.ssa Chiara Verdone
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