Responsabilità amministrativa dell'Ente: confermata legittimità costituzionale prescrizione
Con la recente sentenza n. 25764 del 18 aprile 2023, la Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento secondo cui il regime della prescrizione previsto dall’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 in relazione agli illeciti amministrativi dipendenti da reato deve ritenersi compatibile con i principi costituzionali.
Nel confermare tale principio, i Giudici della Suprema Corte hanno dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in relazione all’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 sulla c.d. responsabilità amministrativa “da reato” degli Enti che – nel disciplinare il termine di prescrizione di tale categoria di illeciti – deroga alla disciplina della prescrizione in ambito penale.
Il sistema di responsabilità delineato dal D.Lgs. 231/2001 in relazione alle persone giuridiche, può comportare l’applicazione di sanzioni interdittive e/o pecuniarie in capo all’Ente laddove i suoi soggetti apicali o subordinati abbiano posto in essere – nell’interesse o a vantaggio dell’Ente stesso – determinate condotte aventi rilevanza penale (quali, a titolo esemplificativo, reati fiscali, societari o ambientali).
In tal senso, la giurisprudenza è ormai prevalente nel ritenere che tale sistema di responsabilità si atteggi alla stregua di un tertium genus in quanto lo stesso coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo (Cass. Pen., SS. UU., 18 settembre 2014, n. 38343) e non potendosi per contro ricondurre integralmente ai diversi sistemi di responsabilità penale ed amministrativa.
Venendo al caso oggi in esame, la Società ricorrente – già condannata nei precedenti gradi di giudizio e nei cui confronti erano state applicate sanzioni pecuniarie – aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 del D.Lgs. 231/2001, a tenore del quale le sanzioni amministrative cui può andare incontro l’Ente “si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.”
Sempre la medesima disposizione, poi, individua quali cause interruttive del termine di prescrizione “la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive” nonché “la contestazione dell’illecito amministrativo” con l’ulteriore precisazione che – in tale secondo caso – la prescrizione non potrà decorrere fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (producendosi, per tale verso, una sostanziale “imprescrittibilità” di fatto dell’illecito amministrativo dipendente da reato).
Più nello specifico, con il proprio ricorso la Società imputata ex D.Lgs. 231/2001 aveva lamentato il contrasto tra l’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione: rispettivamente, veniva dedotto il contrasto della disciplina della prescrizione sopra richiamata con il principio di ragionevolezza (generandosi un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per gli imputati-persone fisiche); ancora, si lamentava la violazione dell’art. 24 della Costituzione sul diritto (violazione dovuta al regime di sostanziale imprescrittibilità dell’illecito); in ultimo, veniva eccepito il contrasto rispetto al canone della ragionevole durata del processo ex art. 111 della Costituzione.
Orbene, a fronte delle censure proposte dal ricorrente, la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento – già sostenuto da Cass. Pen., Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 28299 – secondo cui “la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente, e l’impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità “ex delicto” di cui al d.lgs. n.231 del 2001 nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione”.
In altre parole, con il suddetto passaggio i Giudici della Sesta Sezione hanno condivisibilmente chiarito che la disciplina derogatoria di cui all’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 ben si giustifica alla luce della natura di tertium genus dell’illecito previsto da tale testo normativo, e della non riconducibilità dello stesso – in modo, per così dire, integrale – alla disciplina prevista dal codice penale.
Da ultimo, e nel negare il contrasto con il principio ex art. 111, co. 2 Cost., la Corte di Cassazione ha evidenziato come l’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 risponda ad una precisa esigenza di bilanciamento di interessi, tra quello – per l’appunto – alla ragionevole durata del processo (perseguito mediante un termine di prescrizione breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell’illecito) e quello alla completezza dell’accertamento giurisdizionale.
Alla luce di tale bilanciamento tra esigenze contrapposte, in definitiva, si spiega la disposizione dell’art. 22, co. 4 del D.Lgs. 231/2001 a tenore della quale – una volta avvenuta la contestazione dell’illecito amministrativo – il termine di prescrizione non potrà decorrere fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.
Dott. Mario Alletto
Responsabilità amministrativa dell'Ente: confermata legittimità costituzionale prescrizione
Con la recente sentenza n. 25764 del 18 aprile 2023, la Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento secondo cui il regime della prescrizione previsto dall’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 in relazione agli illeciti amministrativi dipendenti da reato deve ritenersi compatibile con i principi costituzionali.
Nel confermare tale principio, i Giudici della Suprema Corte hanno dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in relazione all’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 sulla c.d. responsabilità amministrativa “da reato” degli Enti che – nel disciplinare il termine di prescrizione di tale categoria di illeciti – deroga alla disciplina della prescrizione in ambito penale.
Il sistema di responsabilità delineato dal D.Lgs. 231/2001 in relazione alle persone giuridiche, può comportare l’applicazione di sanzioni interdittive e/o pecuniarie in capo all’Ente laddove i suoi soggetti apicali o subordinati abbiano posto in essere – nell’interesse o a vantaggio dell’Ente stesso – determinate condotte aventi rilevanza penale (quali, a titolo esemplificativo, reati fiscali, societari o ambientali).
In tal senso, la giurisprudenza è ormai prevalente nel ritenere che tale sistema di responsabilità si atteggi alla stregua di un tertium genus in quanto lo stesso coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo (Cass. Pen., SS. UU., 18 settembre 2014, n. 38343) e non potendosi per contro ricondurre integralmente ai diversi sistemi di responsabilità penale ed amministrativa.
Venendo al caso oggi in esame, la Società ricorrente – già condannata nei precedenti gradi di giudizio e nei cui confronti erano state applicate sanzioni pecuniarie – aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 del D.Lgs. 231/2001, a tenore del quale le sanzioni amministrative cui può andare incontro l’Ente “si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.”
Sempre la medesima disposizione, poi, individua quali cause interruttive del termine di prescrizione “la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive” nonché “la contestazione dell’illecito amministrativo” con l’ulteriore precisazione che – in tale secondo caso – la prescrizione non potrà decorrere fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (producendosi, per tale verso, una sostanziale “imprescrittibilità” di fatto dell’illecito amministrativo dipendente da reato).
Più nello specifico, con il proprio ricorso la Società imputata ex D.Lgs. 231/2001 aveva lamentato il contrasto tra l’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione: rispettivamente, veniva dedotto il contrasto della disciplina della prescrizione sopra richiamata con il principio di ragionevolezza (generandosi un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per gli imputati-persone fisiche); ancora, si lamentava la violazione dell’art. 24 della Costituzione sul diritto (violazione dovuta al regime di sostanziale imprescrittibilità dell’illecito); in ultimo, veniva eccepito il contrasto rispetto al canone della ragionevole durata del processo ex art. 111 della Costituzione.
Orbene, a fronte delle censure proposte dal ricorrente, la Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento – già sostenuto da Cass. Pen., Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 28299 – secondo cui “la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente, e l’impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità “ex delicto” di cui al d.lgs. n.231 del 2001 nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione”.
In altre parole, con il suddetto passaggio i Giudici della Sesta Sezione hanno condivisibilmente chiarito che la disciplina derogatoria di cui all’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 ben si giustifica alla luce della natura di tertium genus dell’illecito previsto da tale testo normativo, e della non riconducibilità dello stesso – in modo, per così dire, integrale – alla disciplina prevista dal codice penale.
Da ultimo, e nel negare il contrasto con il principio ex art. 111, co. 2 Cost., la Corte di Cassazione ha evidenziato come l’art. 22 del D.Lgs. 231/2001 risponda ad una precisa esigenza di bilanciamento di interessi, tra quello – per l’appunto – alla ragionevole durata del processo (perseguito mediante un termine di prescrizione breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell’illecito) e quello alla completezza dell’accertamento giurisdizionale.
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