Principio di non contestazione e sindacato del giudice
Nella recente ordinanza n. 16028/2023 con cui la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione rigetta il ricorso avverso una sentenza della Corte d’appello, si affronta la questione della violazione del principio di non contestazione e il correlato sindacato del giudice di legittimità.
La ricorrente, che aveva ottenuto un accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria per i danni subiti in un incidente stradale causato da una buca non visibile e non segnalata, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, la quale veniva successivamente confermata.
La Cassazione nella disamina dei motivi addotti al ricorso affronta alcune questioni di diritto.
Nello specifico, in merito alla violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. primo comma, rileva l’inammissibilità e l’infondatezza facendo leva sui seguenti argomenti:
- In primis, trattandosi di una valutazione già compiuta dal giudice di primo grado, la violazione del principio avrebbe dovuto essere dedotta come motivo di gravame, pena l’irrilevabilità del vizio in Cassazione;
- Il motivo di ricorso per Cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto;
- “In ogni caso, detto principio, se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento”; l’ 115, primo comma, c.p.c., non reca alcuna finzione di dimostrazione del fatto non specificatamente contestato, bensì si limita a stabilire una relevatio ab onere probandi a favore della parte che lo ha allegato; la circostanza narrata, in difetto di una specifica contestazione, dovrà essere valutata dal giudice nella formazione del suo convincimento, potendo, pur sola e indimostrata, fondare la decisione, ma potrà anche essere reputata inesistente, qualora constino agli atti prove in senso contrario.
Con riguardo al sindacato del giudice di legittimità con riferimento al “travisamento di prove” denunciato dalla ricorrente nel caso di specie, innanzitutto viene qualificato come errore di tipo percettivo, da non collocare nella fase di valutazione delle prove, ma consistente cioè nella “postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice”.
Tuttavia in questa sede viene denunciato non un errore percettivo ma un supposto errore di valutazione della prova, documentale e testimoniale, da parte del giudice del merito, come tale certamente sottratto al sindacato di legittimità. La contestazione ricade piuttosto sulla correttezza della denominazione come «banchina» della parte nella quale la buca ricade siccome raffigurata nelle foto.
Essa si muove pertanto sul piano della selezione tra i possibili contenuti informativi ricavabili da un mezzo di prova, espressione più propria della discrezionalità valutativa del giudice di merito e come tale estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità e, conseguentemente, non denunciabile dinanzi a quest’ultima.
Sempre sul tema dei limiti dello scrutinio in sede di legittimità della censura riguardante la violazione dell’art. 342 c.p.c., la Corte abbraccia l’orientamento giurisprudenziale che risolvendo un precedente contrasto giurisprudenziale delimita l’oggetto dello scrutinio del giudice di legittimità nei casi di errores in procedendo.
Esso “non è costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensì direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato.”.
La Corte di Cassazione deve prendere quindi cognizione di quei fatti, sempre però che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità «alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte», e quindi anche nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione.
Dott.ssa Chiara Giannella
Principio di non contestazione e sindacato del giudice
Nella recente ordinanza n. 16028/2023 con cui la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione rigetta il ricorso avverso una sentenza della Corte d’appello, si affronta la questione della violazione del principio di non contestazione e il correlato sindacato del giudice di legittimità.
La ricorrente, che aveva ottenuto un accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria per i danni subiti in un incidente stradale causato da una buca non visibile e non segnalata, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado, la quale veniva successivamente confermata.
La Cassazione nella disamina dei motivi addotti al ricorso affronta alcune questioni di diritto.
Nello specifico, in merito alla violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. primo comma, rileva l’inammissibilità e l’infondatezza facendo leva sui seguenti argomenti:
- In primis, trattandosi di una valutazione già compiuta dal giudice di primo grado, la violazione del principio avrebbe dovuto essere dedotta come motivo di gravame, pena l’irrilevabilità del vizio in Cassazione;
- Il motivo di ricorso per Cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto;
- “In ogni caso, detto principio, se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento”; l’ 115, primo comma, c.p.c., non reca alcuna finzione di dimostrazione del fatto non specificatamente contestato, bensì si limita a stabilire una relevatio ab onere probandi a favore della parte che lo ha allegato; la circostanza narrata, in difetto di una specifica contestazione, dovrà essere valutata dal giudice nella formazione del suo convincimento, potendo, pur sola e indimostrata, fondare la decisione, ma potrà anche essere reputata inesistente, qualora constino agli atti prove in senso contrario.
Con riguardo al sindacato del giudice di legittimità con riferimento al “travisamento di prove” denunciato dalla ricorrente nel caso di specie, innanzitutto viene qualificato come errore di tipo percettivo, da non collocare nella fase di valutazione delle prove, ma consistente cioè nella “postulazione in sentenza di informazioni probatorie che possano considerarsi obiettivamente e inequivocabilmente contraddette dal dato formale-percettivo delle fonti o dei mezzi di prova considerati o che, addirittura, risultino inesistenti e dunque sostanzialmente «inventate» dal giudice”.
Tuttavia in questa sede viene denunciato non un errore percettivo ma un supposto errore di valutazione della prova, documentale e testimoniale, da parte del giudice del merito, come tale certamente sottratto al sindacato di legittimità. La contestazione ricade piuttosto sulla correttezza della denominazione come «banchina» della parte nella quale la buca ricade siccome raffigurata nelle foto.
Essa si muove pertanto sul piano della selezione tra i possibili contenuti informativi ricavabili da un mezzo di prova, espressione più propria della discrezionalità valutativa del giudice di merito e come tale estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità e, conseguentemente, non denunciabile dinanzi a quest’ultima.
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