Obbligazione da contratto di fideiussione “omnibus”: vittoria dello Studio Scicchitano
Lo Studio Scicchitano ha ottenuto un’importante vittoria dinanzi al Tribunale Ordinario di Rieti, che ha accolto l’opposizione, da Questi proposta, avverso un decreto ingiuntivo ottenuto, nei confronti di un proprio assistito, da un primario istituto finanziario nazionale e fondato su un’obbligazione da contratto di fideiussione “omnibus” asseritamente vantata dalla banca nei confronti dello stesso.
Accogliendo le censure avanzate sul punto dalla difesa, il Tribunale ha infatti riconosciuto la nullità, ex art. 1419 c.c., di quella clausola del contratto fideiussorio oggetto della causa che, escludendo in relazione al rapporto garantito l’applicabilità dei termini di decadenza dal diritto di credito stabiliti in favore del fideiussore dall’art. 1957 c.c., riproduceva pedissequamente la clausola n. 6 dello schema negoziale predisposto in materia dall’Associazione Bancaria Italiana (clausola, come noto, ritenuta – insieme ad altre – in contrasto con la disciplina antitrust e pertanto, invalida, dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005).
Facendo applicazione del principio di diritto sancito sul tema dalla Corte di Cassazione (si veda, in particolare, la pronuncia n. 41994/2021 delle Sezioni Unite civili), il Tribunale ha pertanto inquadrato la fattispecie nella categoria della nullità parziale e, pur non ritenendo invalido l’intero contratto, in virtù del principio di conservazione degli atti negoziali, che osta a un tale esito salva la diversa volontà delle parti nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità, ha proceduto a disapplicare la clausola “abusiva” diligentemente censurata dalla difesa.
Conseguentemente, il principio di cui all’art. 1957 c.c. veniva, nel caso di specie, a riespandersi, conducendo il Tribunale ad accogliere l’opposizione a decreto ingiuntivo avanzata da Scicchitano: scaduta l’obbligazione principale – gravante su una società medio tempore dichiarata fallita – la Banca, per conservare la garanzia, avrebbe infatti dovuto proporre istanza contro il debitore principale nel termine semestrale sancito dalla disposizione in rilievo, termine che nel caso in questione, come correttamente riconosciuto dal Giudice, non poteva che decorrere dalla data di dichiarazione di fallimento, stante il disposto dell’art. 55, comma 2 della Legge Fallimentare per cui “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento”. Ebbene, come emerso dagli atti di causa, l’istituto finanziario si era insinuato al fallimento dell’obbligato principale in un momento di lunga successivo allo spirare del termine di sei mesi, cosicché l’onere ex art. 1957 c.c. non poteva ritenersi in alcun modo assolto, e il fideiussore (opponente) doveva ritenersi liberato dal relativo vincolo.
Nel revocare il decreto ingiuntivo, il Tribunale ha accolto, in aggiunta, le controdeduzioni avanzate dallo Studio rispetto all’eccezione, sollevata dalla Banca opposta, volta ad ottenere l’inquadramento del negozio sulla cui base era emanato il decreto nel tipo del contratto autonomo di garanzia (che, come noto, preclude al garante la proposizione di qualsiasi eccezione relativa al rapporto principale). Sulla scia della giurisprudenza di legittimità invocata dall’opponente, il Giudice ha infatti rammentato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta” (come quella presente nel contratto tra l’opponente stesso e l’istituto finanziario) non può valere, di per sé, a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (esito che, peraltro, non può ritenersi obbligato neanche laddove la clausola sia “a prima richiesta e senza eccezioni”, situazione in cui è pur sempre necessario accertare l’insussistenza di un’evidente discrasia tra la stessa e l’intero contenuto della convenzione negoziale, cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 3947 del 2010).
E difatti, il contratto in rilievo disvelava, in ossequio ai canoni di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c., la piena accessorietà della garanzia personale al rapporto principale: fondamentali, in tal senso, le indicazioni emergenti dal tenore letterale del negozio stesso, tra cui la sistematica qualificazione in termini di “fideiussione” del rapporto e la costante identificazione dell’oggetto dell’obbligazione a carico del garante con quello dell’obbligazione a carico del debitore principale.
In conclusione, deve evidenziarsi che decisioni quali quella ottenuta dallo Studio saranno, nel prossimo periodo, sempre più frequenti nella giurisprudenza di merito, chiamata a dare attuazione a quei principi nomofilattici che hanno finalmente fatto chiarezza circa gli effetti contrattuali del riconoscimento della contrarietà alla disciplina antitrust, di origine unionale, delle clausole ABI in tema di fideiussione omnibus, clausole tuttora in voga nella prassi contrattuale bancaria, benché illegittime, in quanto predisposte da un’associazione di imprese, con finalità anticoncorrenziali (ex art. 2, co. 2, l. 287/1990) al precipuo scopo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa.
Obbligazione da contratto di fideiussione “omnibus”: vittoria dello Studio Scicchitano
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Accogliendo le censure avanzate sul punto dalla difesa, il Tribunale ha infatti riconosciuto la nullità, ex art. 1419 c.c., di quella clausola del contratto fideiussorio oggetto della causa che, escludendo in relazione al rapporto garantito l’applicabilità dei termini di decadenza dal diritto di credito stabiliti in favore del fideiussore dall’art. 1957 c.c., riproduceva pedissequamente la clausola n. 6 dello schema negoziale predisposto in materia dall’Associazione Bancaria Italiana (clausola, come noto, ritenuta – insieme ad altre – in contrasto con la disciplina antitrust e pertanto, invalida, dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005).
Facendo applicazione del principio di diritto sancito sul tema dalla Corte di Cassazione (si veda, in particolare, la pronuncia n. 41994/2021 delle Sezioni Unite civili), il Tribunale ha pertanto inquadrato la fattispecie nella categoria della nullità parziale e, pur non ritenendo invalido l’intero contratto, in virtù del principio di conservazione degli atti negoziali, che osta a un tale esito salva la diversa volontà delle parti nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità, ha proceduto a disapplicare la clausola “abusiva” diligentemente censurata dalla difesa.
Conseguentemente, il principio di cui all’art. 1957 c.c. veniva, nel caso di specie, a riespandersi, conducendo il Tribunale ad accogliere l’opposizione a decreto ingiuntivo avanzata da Scicchitano: scaduta l’obbligazione principale – gravante su una società medio tempore dichiarata fallita – la Banca, per conservare la garanzia, avrebbe infatti dovuto proporre istanza contro il debitore principale nel termine semestrale sancito dalla disposizione in rilievo, termine che nel caso in questione, come correttamente riconosciuto dal Giudice, non poteva che decorrere dalla data di dichiarazione di fallimento, stante il disposto dell’art. 55, comma 2 della Legge Fallimentare per cui “i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento”. Ebbene, come emerso dagli atti di causa, l’istituto finanziario si era insinuato al fallimento dell’obbligato principale in un momento di lunga successivo allo spirare del termine di sei mesi, cosicché l’onere ex art. 1957 c.c. non poteva ritenersi in alcun modo assolto, e il fideiussore (opponente) doveva ritenersi liberato dal relativo vincolo.
Nel revocare il decreto ingiuntivo, il Tribunale ha accolto, in aggiunta, le controdeduzioni avanzate dallo Studio rispetto all’eccezione, sollevata dalla Banca opposta, volta ad ottenere l’inquadramento del negozio sulla cui base era emanato il decreto nel tipo del contratto autonomo di garanzia (che, come noto, preclude al garante la proposizione di qualsiasi eccezione relativa al rapporto principale). Sulla scia della giurisprudenza di legittimità invocata dall’opponente, il Giudice ha infatti rammentato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta” (come quella presente nel contratto tra l’opponente stesso e l’istituto finanziario) non può valere, di per sé, a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (esito che, peraltro, non può ritenersi obbligato neanche laddove la clausola sia “a prima richiesta e senza eccezioni”, situazione in cui è pur sempre necessario accertare l’insussistenza di un’evidente discrasia tra la stessa e l’intero contenuto della convenzione negoziale, cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 3947 del 2010).
E difatti, il contratto in rilievo disvelava, in ossequio ai canoni di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c., la piena accessorietà della garanzia personale al rapporto principale: fondamentali, in tal senso, le indicazioni emergenti dal tenore letterale del negozio stesso, tra cui la sistematica qualificazione in termini di “fideiussione” del rapporto e la costante identificazione dell’oggetto dell’obbligazione a carico del garante con quello dell’obbligazione a carico del debitore principale.
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