Cassazione: quali diritti in caso di riqualificazione di un contratto di collaborazione con la P.A.
La Suprema Corte di Cassazione, con una recentissima ordinanza (n. 4360/2023) torna sul tema del pubblico impiego privatizzato.
Il fatto riguardava un lavoratore, il quale ricorreva in giudizio al fine di riqualificare il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa intercorso con la Pubblica Amministrazione, in particolare un Ente Pubblico non economico, e la condanna di quest’ultima al pagamento delle differenze retributive e del TFR.
La Corte d’Appello accoglieva parzialmente le domande del suddetto lavoratore riconoscendogli solo il diritto al trattamento di fine rapporto.
A seguito di ricorso al giudice di legittimità proposto dall’Amministrazione resistente gli Ermellini, in continuità con quanto statuito dal giudice di secondo grado, hanno stabilito che “in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, in seguito ad accertamento giudiziario, risulti avere la sostanza di contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non può conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la P.A., ma ha diritto ad una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., nonché alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale ed alla corresponsione del trattamento di fine rapporto per il periodo pregresso”.
Infatti, i Supremi Giudici alla base della massima contenuta nella sentenza hanno rammentato come il trattamento di fine rapporto rappresenti una prestazione economica a cui il dipendente ha diritto nel momento in cui si conclude il rapporto lavorativo, indipendentemente dalla causa generatrice di quest’ultimo e al cui interno vanno ricomprese tutte le somme di denaro che trovano la propria causa nel rapporto di lavoro stesso e a prescindere dal rigido svolgimento delle prestazioni previste. A conferma della sua natura pro-futuro prima della fine di tale rapporto non è ammissibile una rinuncia ad esso, poiché si tratterebbe di una rinuncia nulla per mancanza dell’oggetto, il quale appunto si definisce solo a conclusione dell’attività lavorativa e non prima.
Trattandosi di una retribuzione “omnicomprensiva” nel computo di esso, pertanto, vanno inseriti anche gli emolumenti che, causalmente legati al rapporto di lavoro, vengono erogati da un diverso datore di lavoro comprensivi di tutte le somme corrisposte per il tramite di un contratto diverso da quello di lavoro che costituisce, tuttavia, uno strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del dipendente in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro.
Dott. Riccardo Tombolesi
Dott. Emilio Brogna
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Infatti, i Supremi Giudici alla base della massima contenuta nella sentenza hanno rammentato come il trattamento di fine rapporto rappresenti una prestazione economica a cui il dipendente ha diritto nel momento in cui si conclude il rapporto lavorativo, indipendentemente dalla causa generatrice di quest’ultimo e al cui interno vanno ricomprese tutte le somme di denaro che trovano la propria causa nel rapporto di lavoro stesso e a prescindere dal rigido svolgimento delle prestazioni previste. A conferma della sua natura pro-futuro prima della fine di tale rapporto non è ammissibile una rinuncia ad esso, poiché si tratterebbe di una rinuncia nulla per mancanza dell’oggetto, il quale appunto si definisce solo a conclusione dell’attività lavorativa e non prima.
Trattandosi di una retribuzione “omnicomprensiva” nel computo di esso, pertanto, vanno inseriti anche gli emolumenti che, causalmente legati al rapporto di lavoro, vengono erogati da un diverso datore di lavoro comprensivi di tutte le somme corrisposte per il tramite di un contratto diverso da quello di lavoro che costituisce, tuttavia, uno strumento per conseguire il risultato pratico di arricchire il patrimonio del dipendente in correlazione con lo svolgimento del rapporto di lavoro.
Dott. Riccardo Tombolesi
Dott. Emilio Brogna
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