L'infortunio sul lavoro e il c.d. "danno differenziale"
Alla luce della recente sentenza emanata dalla Suprema di Cassazione n. 3694 del 7 febbraio 2023 è possibile fare chiarezza sull’annosa questione della quantificazione del danno in ossequio ad un eventuale infortunio del lavoratore patito nell’espletamento della propria mansione lavorativa.
Ordunque, è necessario sottolineare come la casistica dell’infortunio sul luogo di lavoro venga per antonomasia definita come una patologia provocata da una causa violenta e immediata nello svolgimento della suddetta funzione lavorativa.
Sicché, sebbene sia pacifico come nel nostro ordinamento sia previsto un vero e proprio diritto in capo al lavoratore di percepire il relativo risarcimento integrale, più controverso, antecedentemente alla sopra citata sentenza della Cassazione era il problema relativo al soggetto preposto a risarcire il lavoratore.
Il principio per cui il danno debba essere integralmente ripartito, costituisce un vero e proprio dogma (Cass. 6 maggio 2020, n. 8508; Cass. 29 ottobre 2019, n.27590), tale per cui il lavoratore, quale vittima dell’infortunio ha diritto di ricevere né più né meno di quanto necessario a reintegrare la sua situazione rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l’infortunio non si fosse verificato (Cass. sez. un, 22 maggio 2018, n. 12564-12567).
Prima facie, di analoghi risarcimenti, si ritiene competente l’INAIL, la quale però riconosce una rendita o un’indennità, tale da risarcire unicamente le voci di danno afferenti alla categoria del danno biologico e della perdita patrimoniale, non includendovi le altre possibili voci di danno che sono potenzialmente frutto dell’infortunio.
Suddette voci, esenti dalla normativa INAIL sono il c.d. danno “esistenziale”, ivi incluso nella nozione di danno biologico, “Danno biologico comprende quello esistenziale, (Cass. Civ. Sent. N. 24473/20), e le ulteriori voci di danno a sfondo civilistico.
Il riferimento al danno biologico è strumentale nella sua più stretta espressione terminologica per la sua propedeuticità volta ad inglobare il danno esistenziale, quale voce di danno in grado di differenziarsi dal danno morale, la cui ratio per antonomasia allude ad un dolore intangibile.
Danno che costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria della congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come “danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali”.
L’insufficiente grado di indennità INAIL, non essendo a coprire tutti i pregiudizi subiti dal lavoratore viene colmata dal c.d. danno differenziale. Con una simile locuzione si fa riferimento a quel differenziale tra il riconosciuto e il dovuto, tale secondo un calcolo di tutte quelle che sono le voci di danni precedentemente citate.
Con la sentenza numero 3694 del 2023, la Suprema Corte ha pertanto chiarito e risolto univocamente come “la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato”.
Ne consegue pertanto che il Tribunale adito debba quantificare l’intero risarcimento secondo i parametri civilistici di riferimento e confrontarlo successivamente con l’indennizzo garantito dall’INPS. Deve cioè quantificare l’intero risarcimento secondo i principi civilistici generali e successivamente compararlo con l’indennizzo previsto dall’INAIL. Per le suddette ragioni, dunque, le somme garantite dall’INAIL non debbono essere decurtate scomputate dall’intero risarcimento, ma vanno considerate per “poste omogenee”.
Lo scomputo per poste omogenee significa che, una volta quantificate tutte le voci di danno patrimoniale e non patrimoniale, anche le voci dell’indennizzo INAIL debbano essere detratte in base alle relative “poste”. In questo modo, secondo la Cassazione, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a risarcire il danno biologico stesso.
Va invece esclusa la quota di indennizzo rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale. L’imputazione per “poste omogenee” dell’indennizzo INAIL può garantire al lavoratore il riconoscimento del danno differenziale, poiché “la liquidazione del danno alla salute conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale va effettuata secondo i criteri civilistici e non sulla base delle tabelle di cui al D.M. n. del 12 luglio 2000, deputate alla liquidazione dell’indennizzo INAIL ex D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, in ragione della differenza strutturale e funzionale tra tale indennizzo e il risarcimento del danno civilistico”.
Un simile scomputo si calcola detraendo dall’ammontare complessivo del danno biologico il solo valore capitale della quota di essa destinata a risarcire il danno biologico stesso, escludendovi la quota di indennizzo rapportata alla retribuzione.
Dott. Riccardo Tombolesi
L'infortunio sul lavoro e il c.d. "danno differenziale"
Alla luce della recente sentenza emanata dalla Suprema di Cassazione n. 3694 del 7 febbraio 2023 è possibile fare chiarezza sull’annosa questione della quantificazione del danno in ossequio ad un eventuale infortunio del lavoratore patito nell’espletamento della propria mansione lavorativa.
Ordunque, è necessario sottolineare come la casistica dell’infortunio sul luogo di lavoro venga per antonomasia definita come una patologia provocata da una causa violenta e immediata nello svolgimento della suddetta funzione lavorativa.
Sicché, sebbene sia pacifico come nel nostro ordinamento sia previsto un vero e proprio diritto in capo al lavoratore di percepire il relativo risarcimento integrale, più controverso, antecedentemente alla sopra citata sentenza della Cassazione era il problema relativo al soggetto preposto a risarcire il lavoratore.
Il principio per cui il danno debba essere integralmente ripartito, costituisce un vero e proprio dogma (Cass. 6 maggio 2020, n. 8508; Cass. 29 ottobre 2019, n.27590), tale per cui il lavoratore, quale vittima dell’infortunio ha diritto di ricevere né più né meno di quanto necessario a reintegrare la sua situazione rispetto a quella che si sarebbe avuta ove l’infortunio non si fosse verificato (Cass. sez. un, 22 maggio 2018, n. 12564-12567).
Prima facie, di analoghi risarcimenti, si ritiene competente l’INAIL, la quale però riconosce una rendita o un’indennità, tale da risarcire unicamente le voci di danno afferenti alla categoria del danno biologico e della perdita patrimoniale, non includendovi le altre possibili voci di danno che sono potenzialmente frutto dell’infortunio.
Suddette voci, esenti dalla normativa INAIL sono il c.d. danno “esistenziale”, ivi incluso nella nozione di danno biologico, “Danno biologico comprende quello esistenziale, (Cass. Civ. Sent. N. 24473/20), e le ulteriori voci di danno a sfondo civilistico.
Il riferimento al danno biologico è strumentale nella sua più stretta espressione terminologica per la sua propedeuticità volta ad inglobare il danno esistenziale, quale voce di danno in grado di differenziarsi dal danno morale, la cui ratio per antonomasia allude ad un dolore intangibile.
Danno che costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria della congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come “danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali”.
L’insufficiente grado di indennità INAIL, non essendo a coprire tutti i pregiudizi subiti dal lavoratore viene colmata dal c.d. danno differenziale. Con una simile locuzione si fa riferimento a quel differenziale tra il riconosciuto e il dovuto, tale secondo un calcolo di tutte quelle che sono le voci di danni precedentemente citate.
Con la sentenza numero 3694 del 2023, la Suprema Corte ha pertanto chiarito e risolto univocamente come “la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato”.
Ne consegue pertanto che il Tribunale adito debba quantificare l’intero risarcimento secondo i parametri civilistici di riferimento e confrontarlo successivamente con l’indennizzo garantito dall’INPS. Deve cioè quantificare l’intero risarcimento secondo i principi civilistici generali e successivamente compararlo con l’indennizzo previsto dall’INAIL. Per le suddette ragioni, dunque, le somme garantite dall’INAIL non debbono essere decurtate scomputate dall’intero risarcimento, ma vanno considerate per “poste omogenee”.
Lo scomputo per poste omogenee significa che, una volta quantificate tutte le voci di danno patrimoniale e non patrimoniale, anche le voci dell’indennizzo INAIL debbano essere detratte in base alle relative “poste”. In questo modo, secondo la Cassazione, dall’ammontare complessivo del danno biologico va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a risarcire il danno biologico stesso.
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