Furto dell'identità digitale: cosa si rischia?
L’identità digitale è quell’insieme di informazioni e dati che identificano un soggetto nelle interazioni di quest’ultimo con i sistemi informatici. Tali dati contengono riferimenti a nome, cognome, codice fiscale, numeri di carte di identità o di credito residenza dell’interessato.
Se da un lato l’era della digitalizzazione ha migliorato l’accesso a svariate tipologie di servizi resi ai cittadini tramite l’utilizzo di sistemi di identità digitale, dall’altro bisogna rilevare il costante perpetrarsi di episodi di utilizzo illecito di questi ultimi.
Le finalità che spingono i c.d. “criminali informatici” all’appropriazione illecita di tali dati sono le più svariate: la clonazione dell’identità di un soggetto per crearne una nuova; il furto dell’identità finanziaria allo scopo di utilizzare i dati identificativi di soggetti pubblici o privati per ottenere prestiti, crediti o accendere a mutui a nome della vittima, l’utilizzo di dati sanitari per l’accesso a prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale o atti di varia natura i cui effetti negativi ricadono direttamente sulla vittima.
Il Legislatore italiano declinando la tutela dell’identità digitale in due categorie, privacy e sicurezza informatica, ha proposto diversi rimedi, in sede penale, volti a tutelare le vittime dei seguenti reati. Il primo reato è la “Sostituzione di persona” disciplinato dall’articolo 494 c.p. il quale punisce “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
La Corte di Cassazione ha ammesso che il reato possa anche consumarsi a mezzo internet, utilizzando illecitamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in errore gli altri fruitori della rete. Inoltre, viene ricompresa sotto tale fattispecie anche la condotta del soggetto che, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità, anche semplicemente l’intrattenimento di rapporti con altre persone e ledendo l’immagine della persona offesa. (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 25215 del 13 luglio 2020; sentenza n. 25774 del 16 giugno 2014).
La vittima in tal caso, oltre alla cessazione delle condotte illecite, può richiedere il risarcimento se dimostra in giudizio di aver subito un danno dalla condotta colpevole del reo. Il pregiudizio lamentato può essere sia di natura patrimoniale che non patrimoniale. Il secondo reato sul tema introdotto dal Legislatore è la “Frode informatica” prevista dall’articolo 640-ter c.p. il quale stabilisce che è punito “Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. La disposizione permette alla vittima tramite querela, di porre fine alle condotte pregiudizievole ed ottenere un ristoro per il pregiudizio subito.
Dott. Emilio Brogna
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L’identità digitale è quell’insieme di informazioni e dati che identificano un soggetto nelle interazioni di quest’ultimo con i sistemi informatici. Tali dati contengono riferimenti a nome, cognome, codice fiscale, numeri di carte di identità o di credito residenza dell’interessato.
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Il Legislatore italiano declinando la tutela dell’identità digitale in due categorie, privacy e sicurezza informatica, ha proposto diversi rimedi, in sede penale, volti a tutelare le vittime dei seguenti reati. Il primo reato è la “Sostituzione di persona” disciplinato dall’articolo 494 c.p. il quale punisce “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
La Corte di Cassazione ha ammesso che il reato possa anche consumarsi a mezzo internet, utilizzando illecitamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in errore gli altri fruitori della rete. Inoltre, viene ricompresa sotto tale fattispecie anche la condotta del soggetto che, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità, anche semplicemente l’intrattenimento di rapporti con altre persone e ledendo l’immagine della persona offesa. (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 25215 del 13 luglio 2020; sentenza n. 25774 del 16 giugno 2014).
La vittima in tal caso, oltre alla cessazione delle condotte illecite, può richiedere il risarcimento se dimostra in giudizio di aver subito un danno dalla condotta colpevole del reo. Il pregiudizio lamentato può essere sia di natura patrimoniale che non patrimoniale. Il secondo reato sul tema introdotto dal Legislatore è la “Frode informatica” prevista dall’articolo 640-ter c.p. il quale stabilisce che è punito “Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. La disposizione permette alla vittima tramite querela, di porre fine alle condotte pregiudizievole ed ottenere un ristoro per il pregiudizio subito.
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