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Patteggiamento e sospensione condizionale della pena: l'intervento delle Sezioni Unite
Con la recente sentenza n. 23400/2022, le SS. UU. della Corte di Cassazione hanno proceduto ad un imponente revirement in merito alle condizioni di applicabilità della sospensione condizionale della pena – ex art. 165 c.p. – quando la stessa è posta quale condizione subordinante l’accordo di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p.
Ripercorrendo in breve la vicenda che ha condotto alla sentenza in commento, il giudice del merito – nell’applicare la sospensione condizionale della pena – la subordinava alla condizione che il condannato svolgesse lavori di pubblica utilità per la durata di 400 giorni. Sebbene non vi fosse menzione della suddetta condizione nell’accordo di patteggiamento fra le parti, il giudice la disponeva ex officio – ai sensi dell’art. 165, co. 2 c.p. – in quanto il soggetto aveva già beneficiato in precedenza di altra sospensione condizionale: da ciò, il giudice del merito desumeva, implicitamente, il consenso dell’imputato alla prestazione di lavori non retribuiti a beneficio della collettività. Avverso tale decisione veniva presentato ricorso per Cassazione.
La Sez. V Pen. – riconoscendo l’esistenza di un aperto contrasto giurisprudenziale sulle questioni inerenti ai motivi di ricorso – con ordinanza, ha rimesso alle SS. UU. le seguenti questioni di diritto:
- “Se, nell’applicare la pena su richiesta delle parti, il giudice possa subordinare d’ufficio la sospensione condizionale della pena ad uno degli obblighi di cui all’art. 165, co. 1 c.p. e, in particolare, alla prestazione di lavoro non retribuito in favore della collettività pur in mancanza di esplicito consenso dell’imputato”;
- “Se il computo della durata della prestazione di lavoro non retribuito in favore della collettività debba essere effettuato con riguardo al solo criterio, di cui all’art. 165, co.1 c.p., di non superamento della durata della pena sospesa, ovvero anche con riferimento al criterio, di cui al combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. cod. pen. e 54, co. 2, d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274, della durata massima di sei mesi”.
In merito alla prima, le SS. UU. prendono atto dell’esistenza di un evidente contrasto giurisprudenziale fra un orientamento maggioritario (secondo il quale – essendo ciò disposto dall’art. 165, co. 2 c.p. – il giudice possa subordinare ex officio la sospensione condizionale ad uno degli obblighi di cui al co. 1 del medesimo articolo, anche laddove ciò non sia oggetto dell’accordo di patteggiamento, e che dalla richiesta di una seconda applicazione della sospensione condizionale debba, implicitamente, desumersi il consenso a ciò dell’imputato) e uno minoritario (secondo il quale, invece, dalla mera presentazione di una seconda richiesta di sospensione condizionale non possa desumersi alcun consenso implicito ad uno degli obblighi di cui all’art. 165, co. 1 c.p. e, soprattutto, essendo tale richiesta inserita nell’accordo di patteggiamento, il giudice non possa applicare ex officio una condizione ivi non prevista, non potendo egli modificare sostanzialmente il contenuto dell’accordo stesso).
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha seguito l’orientamento ritenuto finora minoritario, enunciando il seguente principio di diritto: “Nel procedimento speciale di cui all’art. 444 c.p.p., l’accordo delle parti sull’applicazione di una pena detentiva di cui si richiede la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio […] con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata”.
In merito alla seconda questione, le SS. UU. hanno optato per il “doppio limite temporale” di durata della prestazione di lavori di pubblica utilità, enunciando quanto segue: “La durata della prestazione di attività non retribuita in favore della collettività soggiace a due limiti massimi cumulativi: quello di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. cod. pen. e 54, co. 2, d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274 e, se inferiore, quello stabilito dall’art. 165, co. 1 c.p., in relazione alla durata della pena sospesa”.
Dott. Alessandro Lovelli
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Con la recente sentenza n. 23400/2022, le SS. UU. della Corte di Cassazione hanno proceduto ad un imponente revirement in merito alle condizioni di applicabilità della sospensione condizionale della pena – ex art. 165 c.p. – quando la stessa è posta quale condizione subordinante l’accordo di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p.
Ripercorrendo in breve la vicenda che ha condotto alla sentenza in commento, il giudice del merito – nell’applicare la sospensione condizionale della pena – la subordinava alla condizione che il condannato svolgesse lavori di pubblica utilità per la durata di 400 giorni. Sebbene non vi fosse menzione della suddetta condizione nell’accordo di patteggiamento fra le parti, il giudice la disponeva ex officio – ai sensi dell’art. 165, co. 2 c.p. – in quanto il soggetto aveva già beneficiato in precedenza di altra sospensione condizionale: da ciò, il giudice del merito desumeva, implicitamente, il consenso dell’imputato alla prestazione di lavori non retribuiti a beneficio della collettività. Avverso tale decisione veniva presentato ricorso per Cassazione.
La Sez. V Pen. – riconoscendo l’esistenza di un aperto contrasto giurisprudenziale sulle questioni inerenti ai motivi di ricorso – con ordinanza, ha rimesso alle SS. UU. le seguenti questioni di diritto:
- “Se, nell’applicare la pena su richiesta delle parti, il giudice possa subordinare d’ufficio la sospensione condizionale della pena ad uno degli obblighi di cui all’art. 165, co. 1 c.p. e, in particolare, alla prestazione di lavoro non retribuito in favore della collettività pur in mancanza di esplicito consenso dell’imputato”;
- “Se il computo della durata della prestazione di lavoro non retribuito in favore della collettività debba essere effettuato con riguardo al solo criterio, di cui all’art. 165, co.1 c.p., di non superamento della durata della pena sospesa, ovvero anche con riferimento al criterio, di cui al combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. cod. pen. e 54, co. 2, d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274, della durata massima di sei mesi”.
In merito alla prima, le SS. UU. prendono atto dell’esistenza di un evidente contrasto giurisprudenziale fra un orientamento maggioritario (secondo il quale – essendo ciò disposto dall’art. 165, co. 2 c.p. – il giudice possa subordinare ex officio la sospensione condizionale ad uno degli obblighi di cui al co. 1 del medesimo articolo, anche laddove ciò non sia oggetto dell’accordo di patteggiamento, e che dalla richiesta di una seconda applicazione della sospensione condizionale debba, implicitamente, desumersi il consenso a ciò dell’imputato) e uno minoritario (secondo il quale, invece, dalla mera presentazione di una seconda richiesta di sospensione condizionale non possa desumersi alcun consenso implicito ad uno degli obblighi di cui all’art. 165, co. 1 c.p. e, soprattutto, essendo tale richiesta inserita nell’accordo di patteggiamento, il giudice non possa applicare ex officio una condizione ivi non prevista, non potendo egli modificare sostanzialmente il contenuto dell’accordo stesso).
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha seguito l’orientamento ritenuto finora minoritario, enunciando il seguente principio di diritto: “Nel procedimento speciale di cui all’art. 444 c.p.p., l’accordo delle parti sull’applicazione di una pena detentiva di cui si richiede la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio […] con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l’efficacia della stessa richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata”.
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