Diritto all’oblio. Deindicizzare ma non cancellare
Il diritto all’oblio non è un concetto nuovo, esiste da quando esistono i mezzi di informazione.
Il principio di fondo consiste nel rispetto della riservatezza di ogni cittadino sicché, quand’anche una persona sia stata al centro di una vicenda di pubblico dominio, questa ha diritto ad essere “dimenticata” nel momento in cui il fatto non è più attuale.
Devono essere rispettati tre principi: la verità della notizia; l’interesse pubblico che la notizia riveste; l’attualità della notizia.
Il problema del diritto all’oblio si è posto prepotentemente con l’avvento di Internet.
Se infatti, con la carta stampata, ogni notizia viene superata dall’edizione cartacea del giorno successivo, su Internet, le pagine di un sito rischiano di rimanere in eterno e di violare l’altrui diritto all’oblio, non appena viene fatto il nome di una persona.
Ciò comporta che, anche sulle pagine Internet, i fatti di cronaca possono restare in eterno ma dopo un po’ devono essere “anonimizzati” i protagonisti.
La Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza n. 3952 depositata l’8 febbraio e ha ridisegnato i confini della deindicizzazione, stabilendo che nulla quaestio alla “cancellazione” del nome del soggetto dall’elenco dei risultati di ricerca restituiti dal motore di ricerca ma – ed è qui la novità – la notizia deve restare invece disponibile quando si utilizzano altri criteri per l’interrogazione.
Il caso arrivato allo scrutinio degli Ermellini risale al 2015 quando, un imprenditore coinvolto nel fallimento della propria società diversi anni prima, chiedeva al motore di ricerca Yahoo! di ottenere la rimozione del suo nome dai risultati che il motore di ricerca restituiva a tutti coloro i quali cercavano quel nome e cognome.
Il motore di ricerca si rifiutava di accogliere l’istanza dell’ex imprenditore e il caso finiva direttamente sul tavolo del Garante privacy che, con un provvedimento amministrativo, stabiliva l’obbligo per Yahoo! non solo di deindicizzare la notizia, ma anche di distruggere la c.d. “copia cache”.
La cancellazione delle copie cache, infatti, impedisce al motore di ricerca di indicizzare i contenuti attraverso qualunque parola chiave, anche diverse dal nome dell’interessato.
Yahoo! non ci stava, e ricorreva contro il provvedimento, arrivando sino in Cassazione ove, qualche mese fa, i supremi giudici non hanno messo in dubbio la possibilità di deindicizzare ma ha censurato, piuttosto, la decisione del Garante di ordinare la cancellazione delle copie cache delle pagine Internet accessibili attraverso gli URL degli articoli di stampa relativi alla vicenda dello sfortunato imprenditore.
La cancellazione di esse precluderebbe al motore di ricerca di avvalersi di tali copie per indicizzare i contenuti attraverso parole chiave anche diverse da quella corrispondente al nome dell’interessato.
A fronte della richiesta di cancellazione delle copie cache rimane dunque centrale l’esigenza di ponderare gli interessi contrapposti.
Il bilanciamento da compiersi non coincide, nel caso in argomento, con quello operante ai fini della deindicizzazione, poiché l’eventuale sacrificio del diritto all’informazione non aveva ad oggetto una notizia raggiungibile attraverso una ricerca condotta a partire del nome della persona, in funzione del richiamato diritto di questa a non essere trovata facilmente sulla rete, quanto la notizia in sé considerata, siccome raggiungibile attraverso ogni diversa chiave di ricerca.
Eliminando anche la copia cache, infatti, gli utenti del web non avrebbero potuto continuare ad essere informati sulla vicenda di cronaca nel suo complesso.
La cancellazione totale dell’informazione esige, secondo tale sentenza, una ponderazione del diritto all’oblio dell’interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l’acquisizione dell’informazione, relativa al fatto nella sua interezza, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona in questione.
Per questo per la Suprema Corte, il Garante privacy aveva agito legittimamente riguardo alla deindicizzazione, ma per cancellare completamente una notizia, è necessaria la sentenza di un giudice.
Diritto all’oblio. Deindicizzare ma non cancellare
Il diritto all’oblio non è un concetto nuovo, esiste da quando esistono i mezzi di informazione.
Il principio di fondo consiste nel rispetto della riservatezza di ogni cittadino sicché, quand’anche una persona sia stata al centro di una vicenda di pubblico dominio, questa ha diritto ad essere “dimenticata” nel momento in cui il fatto non è più attuale.
Devono essere rispettati tre principi: la verità della notizia; l’interesse pubblico che la notizia riveste; l’attualità della notizia.
Il problema del diritto all’oblio si è posto prepotentemente con l’avvento di Internet.
Se infatti, con la carta stampata, ogni notizia viene superata dall’edizione cartacea del giorno successivo, su Internet, le pagine di un sito rischiano di rimanere in eterno e di violare l’altrui diritto all’oblio, non appena viene fatto il nome di una persona.
Ciò comporta che, anche sulle pagine Internet, i fatti di cronaca possono restare in eterno ma dopo un po’ devono essere “anonimizzati” i protagonisti.
La Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza n. 3952 depositata l’8 febbraio e ha ridisegnato i confini della deindicizzazione, stabilendo che nulla quaestio alla “cancellazione” del nome del soggetto dall’elenco dei risultati di ricerca restituiti dal motore di ricerca ma – ed è qui la novità – la notizia deve restare invece disponibile quando si utilizzano altri criteri per l’interrogazione.
Il caso arrivato allo scrutinio degli Ermellini risale al 2015 quando, un imprenditore coinvolto nel fallimento della propria società diversi anni prima, chiedeva al motore di ricerca Yahoo! di ottenere la rimozione del suo nome dai risultati che il motore di ricerca restituiva a tutti coloro i quali cercavano quel nome e cognome.
Il motore di ricerca si rifiutava di accogliere l’istanza dell’ex imprenditore e il caso finiva direttamente sul tavolo del Garante privacy che, con un provvedimento amministrativo, stabiliva l’obbligo per Yahoo! non solo di deindicizzare la notizia, ma anche di distruggere la c.d. “copia cache”.
La cancellazione delle copie cache, infatti, impedisce al motore di ricerca di indicizzare i contenuti attraverso qualunque parola chiave, anche diverse dal nome dell’interessato.
Yahoo! non ci stava, e ricorreva contro il provvedimento, arrivando sino in Cassazione ove, qualche mese fa, i supremi giudici non hanno messo in dubbio la possibilità di deindicizzare ma ha censurato, piuttosto, la decisione del Garante di ordinare la cancellazione delle copie cache delle pagine Internet accessibili attraverso gli URL degli articoli di stampa relativi alla vicenda dello sfortunato imprenditore.
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