L’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare nei confronti dell’amministratore della società fallita
In base alle disposizioni normative in materia societaria, all’organo di amministrazione sono affidati i compiti inerenti alla direzione e al controllo della compagine aziendale, che vengono definiti gli atti gestione.
Per gli stessi, si richiede agli amministratori di agire perseguendo l’interesse della società e, essendo tali soggetti responsabili per le azioni e relative conseguenze da esse derivanti, va preliminarmente detto che, tutti gli atti compiuti in un momento successivo al sopraggiungere di una causa di scioglimento, possono essere considerati quali causa di danni prodotti nei confronti della società, per cui gli amministratori possono essere chiamati a rispondere.
Sono proprio questi pregiudizi a giustificare la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, nella misura in cui sia possibile ricondurre ai comportamenti di tali soggetti gli atti di cui si discute, e che siano identificabili come atti di mala gestio, per loro natura imputabili all’organo amministrativo considerato nella sua interezza.
Per imputare agli amministratori una responsabilità derivante da atti di cattiva gestione, sussiste un onere probatorio in capo al curatore fallimentare che avanzi tale azione, inerente alla dimostrazione e individuazione degli atti che si ritiene abbiano causato danno alla società.
La sussistenza dell’elemento soggettivo della “colpa” rappresenta un elemento essenziale ai fini dell’esperibilità dell’azione proposta.
Proprio in relazione alle società a responsabilità limitata e alle previsioni dell’art. 2376 del codice civile, la Corte di Cassazione ha affermato l’importante principio secondo cui
“La responsabilità solidale degli amministratori della s.r.l. per i danni derivanti dall’inosservanza di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società non costituisce una forma di responsabilità oggettiva posto che l’esonero da responsabilità previsto dall’art. 2476 c.c. non è ancorato al mero procedimento di rituale manifestazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante, ma all’effettiva mancanza di qualsiasi profilo di colpa” (cfr. per tutte Corte di Cassazione, sent. n. 2038 del 26.01.2018).
La recente giurisprudenza di merito ha affermato il fondante principio secondo cui “è poi intuitivo che nella valutazione della diligenza usata dall’amministratore nel caso concreto sia necessario operare un giudizio ex ante e non ex post, dovendosi quindi prendere in considerazione solo quelle circostanze, oggettive e soggettive, che erano conosciute o conoscibili, con riferimento al momento in cui è stata tenuta quella determinata condotta, poi risultata foriera di danni per la società” (cfr. sent. Tribunale di Roma Sedicesima Sezione Civile (ex Terza), n. 23662/2018 del 10.10.2018).
Pertanto è necessario, ai fini dell’individuazione di eventuali profili di responsabilità, che ogni condotta od operazione eventualmente addebitata agli amministratori sia “contestualizzata” e quindi valutata “ante” e con “riferimento al momento in cui è stata tenuta quella determinata condotta, poi risultata foriera di danni per la società”.
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In base alle disposizioni normative in materia societaria, all’organo di amministrazione sono affidati i compiti inerenti alla direzione e al controllo della compagine aziendale, che vengono definiti gli atti gestione.
Per gli stessi, si richiede agli amministratori di agire perseguendo l’interesse della società e, essendo tali soggetti responsabili per le azioni e relative conseguenze da esse derivanti, va preliminarmente detto che, tutti gli atti compiuti in un momento successivo al sopraggiungere di una causa di scioglimento, possono essere considerati quali causa di danni prodotti nei confronti della società, per cui gli amministratori possono essere chiamati a rispondere.
Sono proprio questi pregiudizi a giustificare la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, nella misura in cui sia possibile ricondurre ai comportamenti di tali soggetti gli atti di cui si discute, e che siano identificabili come atti di mala gestio, per loro natura imputabili all’organo amministrativo considerato nella sua interezza.
Per imputare agli amministratori una responsabilità derivante da atti di cattiva gestione, sussiste un onere probatorio in capo al curatore fallimentare che avanzi tale azione, inerente alla dimostrazione e individuazione degli atti che si ritiene abbiano causato danno alla società.
La sussistenza dell’elemento soggettivo della “colpa” rappresenta un elemento essenziale ai fini dell’esperibilità dell’azione proposta.
Proprio in relazione alle società a responsabilità limitata e alle previsioni dell’art. 2376 del codice civile, la Corte di Cassazione ha affermato l’importante principio secondo cui
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La recente giurisprudenza di merito ha affermato il fondante principio secondo cui “è poi intuitivo che nella valutazione della diligenza usata dall’amministratore nel caso concreto sia necessario operare un giudizio ex ante e non ex post, dovendosi quindi prendere in considerazione solo quelle circostanze, oggettive e soggettive, che erano conosciute o conoscibili, con riferimento al momento in cui è stata tenuta quella determinata condotta, poi risultata foriera di danni per la società” (cfr. sent. Tribunale di Roma Sedicesima Sezione Civile (ex Terza), n. 23662/2018 del 10.10.2018).
Pertanto è necessario, ai fini dell’individuazione di eventuali profili di responsabilità, che ogni condotta od operazione eventualmente addebitata agli amministratori sia “contestualizzata” e quindi valutata “ante” e con “riferimento al momento in cui è stata tenuta quella determinata condotta, poi risultata foriera di danni per la società”.
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