L'autorità garante della concorrenza e del mercato avvia un'istruttoria contro Google riguardo l’uso dati nelle “advertising campaign”
Il 27 ottobre, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha portato a termine accertamenti ispettivi nelle sedi di Google, avvalendosi della Guardia di Finanza e, successivamente, sulla base di quanto acquisito, ha avviato un’ulteriore istruttoria nei confronti di Google. Secondo l’Autorità, quest’ultimo avrebbe abusato della sua posizione dominante. La società Alphabet Inc (fondata nel 2015 come holding a cui fanno capo Google LLC e altre società controllate) avrebbe violato l’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) per ciò che concerne la disponibilità e l’utilizzo dei dati per la creazione di campagne pubblicitarie di display advertising, ovvero lo spazio che viene messo a disposizione da editori e proprietari di siti web al fine di esporre contenuti pubblicitari.
Ciò che viene contestato è, essenzialmente, che Google controlla il mercato della pubblicità digitale, advertising, grazie alla sua posizione dominante e che quest’ultimo utilizza in modo discriminatorio i dati raccolti attraverso le sue applicazioni ledendo la concorrenza e dunque impedendo ad altri operatori economici di agire in modo efficace nel mercato della pubblicità online. Nello specifico, Google avrebbe messo in atto una condotta discriminatoria interna-esterna, da un lato non volendo rendere disponibili i codici di decriptazione dell’ID Google e dall’altro escludendo i pixel di tracciamento (ovvero una porzione di codice che viene generata da alcuni sistemi per poi essere installata su altri) di terze parti.
È necessario a questo punto prendere in considerazione l’analisi della raccolta pubblicitaria online del periodo 2019. In Italia, quest’ultima, durante il 2019, ha raggiunto un valore di oltre 3.3 miliardi, il che rappresenta esattamente il 22% delle risorse del settore dei media mentre il solo “display advertising” ha raggiunto un fatturato ben superiore a 1,2 miliardi. Il display advertising è una delle tecniche di web marketing più efficaci dal momento che si adatta alle esigenze di chi ne usufruisce. Questa pratica consente di acquistare uno spazio su una pagina o più pagine web al fine di pubblicare annunci pubblicitari. Una tecnica che permette di creare campagne ad hoc per diversi target di utenti e che consente di raggiungere in breve tempo tutti coloro che hanno manifestato interesse per quel prodotto o servizio. Si individuano diverse tipologie di “display advertising”, quali:
- Campagne remarketing: l’utente che ha precedentemente visitato un sito web viene reindirizzato sullo stesso anche se indirettamente;
- Targeting per argomento: gli annunci degli inserzionisti vengono inseriti in siti web che riguardano sommariamente lo stesso prodotto che si vuole visualizzare.
A tal fine, Google ha dovuto acquisire un’enorme quantità di dati.
La pubblicità online costituisce uno dei più importanti canali del settore dei media. Infatti, grazie all’utilizzo dei cookie (un tipo di veri e propri gettoni identificativi che vengono utilizzati dalle applicazioni web al fine di recuperare informazioni riguardo all’utente), dei pop-up (elementi dell’interfaccia grafica ovvero finestre che si aprono automaticamente durante l’uso di un’applicazione o la consultazione di un sito web) ed altri messaggi pubblicitari è possibile acquisire dati piuttosto rilevanti in merito alle preferenze dell’utente e di delineare un suo profilo sulla base delle sue scelte. In aggiunta, bisogna richiamare anche l’utilizzo del sistema Android, sempre gestito da Google in quanto da quest’ultimo acquistato nel 2005, ed istallato sulla maggioranza degli smartphones utilizzati in Italia e nel mondo, delle altre app di Google come il motore di ricerca Google Chrome e i servizi di navigazione quali Google Maps, tutti questi sistemi rappresentano molteplici strumenti gestiti da Google che permettono di ottenere, dettagliatamente, il profilo degli utenti.
Le condotte poste in essere da Google hanno rilevanti conseguenze in termini di impatto alla concorrenza sul mercato delle pubblicità online dal momento che Google non sembra avere grandi concorrenti. In effetti, l’assenza di una competizione basata sui meriti può portare ad una restrizione dell’innovazione che va a svantaggio dei consumatori finali.
In merito, un portavoce di Google sostiene che: “La pubblicità digitale aiuta le aziende a trovare clienti e supporta i siti web e i produttori di contenuti che le persone conoscono e apprezzano. I cambiamenti oggetto dell’indagine sono in parte misure per proteggere la privacy delle persone e rispondere ai requisiti del GDPR. Continueremo a lavorare in modo costruttivo con le autorità italiane su questi aspetti importanti, in modo che tutti possano ottenere il massimo dall’uso di internet”.
Non bisogna dimenticare che Google è stato già condannato dalla Commissione Europea nel 2017 per aver favorito il suo sistema di comparazione dei servizi, Google Shopping, rispetto ai suoi concorrenti e che è stato nuovamente condannato dalla Commissione Europea nel 2018 per abuso della posizione dominante in merito al sistema Android con il quale è riuscito a spostarsi dal mercato dei motori di ricerca (sul quale non aveva molti rivali) fino a quello degli smartphones, andando a fare concorrenza ad Apple e Blackberry grazie alle sue principali apps Google Chrome, Google Search e Play Store, effettuando un vero e proprio leverage di ritorno. Ma non solo, in quest’ultimo caso, la Commissione Europea ha ridefinito, con il provvedimento adottato, il mercato, andando ad argomentare sulle pratiche leganti poste in essere da Google (tying and bundling).
Dott.ssa Chiara Verdone
Fonte foto: database freepik
L'autorità garante della concorrenza e del mercato avvia un'istruttoria contro Google riguardo l’uso dati nelle “advertising campaign”
Il 27 ottobre, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha portato a termine accertamenti ispettivi nelle sedi di Google, avvalendosi della Guardia di Finanza e, successivamente, sulla base di quanto acquisito, ha avviato un’ulteriore istruttoria nei confronti di Google. Secondo l’Autorità, quest’ultimo avrebbe abusato della sua posizione dominante. La società Alphabet Inc (fondata nel 2015 come holding a cui fanno capo Google LLC e altre società controllate) avrebbe violato l’art. 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) per ciò che concerne la disponibilità e l’utilizzo dei dati per la creazione di campagne pubblicitarie di display advertising, ovvero lo spazio che viene messo a disposizione da editori e proprietari di siti web al fine di esporre contenuti pubblicitari.
Ciò che viene contestato è, essenzialmente, che Google controlla il mercato della pubblicità digitale, advertising, grazie alla sua posizione dominante e che quest’ultimo utilizza in modo discriminatorio i dati raccolti attraverso le sue applicazioni ledendo la concorrenza e dunque impedendo ad altri operatori economici di agire in modo efficace nel mercato della pubblicità online. Nello specifico, Google avrebbe messo in atto una condotta discriminatoria interna-esterna, da un lato non volendo rendere disponibili i codici di decriptazione dell’ID Google e dall’altro escludendo i pixel di tracciamento (ovvero una porzione di codice che viene generata da alcuni sistemi per poi essere installata su altri) di terze parti.
È necessario a questo punto prendere in considerazione l’analisi della raccolta pubblicitaria online del periodo 2019. In Italia, quest’ultima, durante il 2019, ha raggiunto un valore di oltre 3.3 miliardi, il che rappresenta esattamente il 22% delle risorse del settore dei media mentre il solo “display advertising” ha raggiunto un fatturato ben superiore a 1,2 miliardi. Il display advertising è una delle tecniche di web marketing più efficaci dal momento che si adatta alle esigenze di chi ne usufruisce. Questa pratica consente di acquistare uno spazio su una pagina o più pagine web al fine di pubblicare annunci pubblicitari. Una tecnica che permette di creare campagne ad hoc per diversi target di utenti e che consente di raggiungere in breve tempo tutti coloro che hanno manifestato interesse per quel prodotto o servizio. Si individuano diverse tipologie di “display advertising”, quali:
- Campagne remarketing: l’utente che ha precedentemente visitato un sito web viene reindirizzato sullo stesso anche se indirettamente;
- Targeting per argomento: gli annunci degli inserzionisti vengono inseriti in siti web che riguardano sommariamente lo stesso prodotto che si vuole visualizzare.
A tal fine, Google ha dovuto acquisire un’enorme quantità di dati.
La pubblicità online costituisce uno dei più importanti canali del settore dei media. Infatti, grazie all’utilizzo dei cookie (un tipo di veri e propri gettoni identificativi che vengono utilizzati dalle applicazioni web al fine di recuperare informazioni riguardo all’utente), dei pop-up (elementi dell’interfaccia grafica ovvero finestre che si aprono automaticamente durante l’uso di un’applicazione o la consultazione di un sito web) ed altri messaggi pubblicitari è possibile acquisire dati piuttosto rilevanti in merito alle preferenze dell’utente e di delineare un suo profilo sulla base delle sue scelte. In aggiunta, bisogna richiamare anche l’utilizzo del sistema Android, sempre gestito da Google in quanto da quest’ultimo acquistato nel 2005, ed istallato sulla maggioranza degli smartphones utilizzati in Italia e nel mondo, delle altre app di Google come il motore di ricerca Google Chrome e i servizi di navigazione quali Google Maps, tutti questi sistemi rappresentano molteplici strumenti gestiti da Google che permettono di ottenere, dettagliatamente, il profilo degli utenti.
Le condotte poste in essere da Google hanno rilevanti conseguenze in termini di impatto alla concorrenza sul mercato delle pubblicità online dal momento che Google non sembra avere grandi concorrenti. In effetti, l’assenza di una competizione basata sui meriti può portare ad una restrizione dell’innovazione che va a svantaggio dei consumatori finali.
In merito, un portavoce di Google sostiene che: “La pubblicità digitale aiuta le aziende a trovare clienti e supporta i siti web e i produttori di contenuti che le persone conoscono e apprezzano. I cambiamenti oggetto dell’indagine sono in parte misure per proteggere la privacy delle persone e rispondere ai requisiti del GDPR. Continueremo a lavorare in modo costruttivo con le autorità italiane su questi aspetti importanti, in modo che tutti possano ottenere il massimo dall’uso di internet”.
Non bisogna dimenticare che Google è stato già condannato dalla Commissione Europea nel 2017 per aver favorito il suo sistema di comparazione dei servizi, Google Shopping, rispetto ai suoi concorrenti e che è stato nuovamente condannato dalla Commissione Europea nel 2018 per abuso della posizione dominante in merito al sistema Android con il quale è riuscito a spostarsi dal mercato dei motori di ricerca (sul quale non aveva molti rivali) fino a quello degli smartphones, andando a fare concorrenza ad Apple e Blackberry grazie alle sue principali apps Google Chrome, Google Search e Play Store, effettuando un vero e proprio leverage di ritorno. Ma non solo, in quest’ultimo caso, la Commissione Europea ha ridefinito, con il provvedimento adottato, il mercato, andando ad argomentare sulle pratiche leganti poste in essere da Google (tying and bundling).
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