ART.5 TUIR: COSTITUZIONALMENTE LEGITTIMO O ILLEGITTIMO?
“I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili”.
È così che esordisce l’art. 5 TUIR.
Da tale formulazione legislativa emerge chiaramente che le società di persone non sono soggette ad IRPEF, i redditi prodotti in forma associata tramite società di persone devono essere ripartiti tra i soci e imputati a ciascuno di loro, in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili.
Va osservato come la disposizione di cui all’articolo 5, co. 1, del T.U.I.R. configura una presunzione assoluta di attribuzione a tali soci dei redditi societari, anche se non effettivamente percepiti.
Ai fini della tassazione risulta assolutamente irrilevante l’effettivo percepimento del reddito, che viene attribuito in via automatica mediante trasparenza, in ragione della presunzione di cui sopra che essendo assoluta non ammette prova contraria.
Il socio deve, quindi, assoggettare a imposizione – pro quota – il reddito prodotto dalla società anche se, per qualsiasi ragione, non lo ha percepito.
Tale presunzione legale assoluta ha, sin dal primo momento, posto dubbi di costituzionalità.
Per tali ragioni la Commissione Tributaria provinciale di Genova, con le ordinanze gemelle iscritte al n. 148 del registro ordinanze 2019 e n.38 del registro ordinanze 2020, ha sollevato un dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 5 TUIR, co.1 limitatamente alle parole “indipendentemente dalla percezione” per violazione:
- Dell’art. 3, primo comma, Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che in tal modo si determinerebbe tra i soci di società di persone che sono soggetti ad imposizione pur non avendo ‘conseguito’ alcun reddito e tutti gli altri soggetti egualmente privi di reddito che ne sono invece esclusi.
- Dell’art. 24, secondo comma, Cost., per l’impossibilità del socio di dimostrare di non aver percepito alcun reddito, venendo così a ledere il proprio ’diritto alla prova in giudizio’.
Ciò si tradurrebbe in un inammissibile solve et repete, imponendo al socio di pagare sempre e comunque il tributo senza alcuna possibilità di proporre difesa.
- Dell’art. 53, primo comma, Cost., perché il socio delle società di persone, ove non sia percettore di reddito da partecipazione, verrebbe ugualmente assoggettato all’IRPEF, in aperto contrasto con il principio di capacità contributiva.
- Dell’art. 113, secondo comma, Cost., perché risulterebbe esclusa la tutela giurisdizionale dei soci di società di persone non percettori di reddito da partecipazione, in relazione ad accertamenti fiscali effettuati nei confronti delle società di persone, laddove tale tutela non sarebbe, invece, esclusa per i soci di società di capitali non percettori di reddito da partecipazione, in relazione a degli stessi accertamenti nei confronti però di società di capitali.
La Corte costituzionale – con sentenza n. 201/2020 – ha smontato le tesi proposte dalla CTP, statuendo che le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla rimettente non possono assolutamente ritenersi fondate.
A detta della Corte, l’art. 5 TUIR è volta a realizzare – attraverso l’imputazione ai soci del reddito societario indipendentemente dalla sua effettiva percezione – la immedesimazione tra società partecipata e socio.
I giudici della Corte, partendo dalla peculiarità della tassazione per trasparenza, mettono in evidenza che i soci sono assoggettati a tassazione IRPEF “in relazione ad un incremento patrimoniale realizzato per effetto dell’attività sociale, rispetto alla quale hanno un onere e un potere di controllo”.
Nelle società di persone, quindi, ai fini della tassazione in capo al socio la nozione di possesso di reddito, quale presupposto dell’IRPEF ai sensi dell’art. 1 TUIR è rappresentato dall’incremento patrimoniale realizzato a seguito dello svolgimento dell’attività.
Per tali ragioni la Corte costituzionale, sancendo la legittimità della normativa in esame, ha concluso affermando che è irrilevante l’effettiva percezione dei redditi ai fini della tassazione per trasparenza e tale irrilevanza esclude, inoltre, la disparità di trattamento, che considerato il presupposto impositivo, si sarebbe verificata solo in caso di tassazione in mancanza di un reddito.
Dott.ssa Ylenia Izzo
Fonte foto: database freepik
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“I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili”.
È così che esordisce l’art. 5 TUIR.
Da tale formulazione legislativa emerge chiaramente che le società di persone non sono soggette ad IRPEF, i redditi prodotti in forma associata tramite società di persone devono essere ripartiti tra i soci e imputati a ciascuno di loro, in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili.
Va osservato come la disposizione di cui all’articolo 5, co. 1, del T.U.I.R. configura una presunzione assoluta di attribuzione a tali soci dei redditi societari, anche se non effettivamente percepiti.
Ai fini della tassazione risulta assolutamente irrilevante l’effettivo percepimento del reddito, che viene attribuito in via automatica mediante trasparenza, in ragione della presunzione di cui sopra che essendo assoluta non ammette prova contraria.
Il socio deve, quindi, assoggettare a imposizione – pro quota – il reddito prodotto dalla società anche se, per qualsiasi ragione, non lo ha percepito.
Tale presunzione legale assoluta ha, sin dal primo momento, posto dubbi di costituzionalità.
Per tali ragioni la Commissione Tributaria provinciale di Genova, con le ordinanze gemelle iscritte al n. 148 del registro ordinanze 2019 e n.38 del registro ordinanze 2020, ha sollevato un dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 5 TUIR, co.1 limitatamente alle parole “indipendentemente dalla percezione” per violazione:
- Dell’art. 3, primo comma, Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che in tal modo si determinerebbe tra i soci di società di persone che sono soggetti ad imposizione pur non avendo ‘conseguito’ alcun reddito e tutti gli altri soggetti egualmente privi di reddito che ne sono invece esclusi.
- Dell’art. 24, secondo comma, Cost., per l’impossibilità del socio di dimostrare di non aver percepito alcun reddito, venendo così a ledere il proprio ’diritto alla prova in giudizio’.
Ciò si tradurrebbe in un inammissibile solve et repete, imponendo al socio di pagare sempre e comunque il tributo senza alcuna possibilità di proporre difesa.
- Dell’art. 53, primo comma, Cost., perché il socio delle società di persone, ove non sia percettore di reddito da partecipazione, verrebbe ugualmente assoggettato all’IRPEF, in aperto contrasto con il principio di capacità contributiva.
- Dell’art. 113, secondo comma, Cost., perché risulterebbe esclusa la tutela giurisdizionale dei soci di società di persone non percettori di reddito da partecipazione, in relazione ad accertamenti fiscali effettuati nei confronti delle società di persone, laddove tale tutela non sarebbe, invece, esclusa per i soci di società di capitali non percettori di reddito da partecipazione, in relazione a degli stessi accertamenti nei confronti però di società di capitali.
La Corte costituzionale – con sentenza n. 201/2020 – ha smontato le tesi proposte dalla CTP, statuendo che le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla rimettente non possono assolutamente ritenersi fondate.
A detta della Corte, l’art. 5 TUIR è volta a realizzare – attraverso l’imputazione ai soci del reddito societario indipendentemente dalla sua effettiva percezione – la immedesimazione tra società partecipata e socio.
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Fonte foto: database freepik
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