CRISI D’IMPRESA: APPROVATO IL DECRETO CORRETTIVO.
- 1 LE PRINCIPALI INNOVAZIONI INTRODOTTE IN AMBITO CONCORSUALE DAL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA.
Il 1° settembre 2021 entrerà in vigore il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (in breve “CCII”) che andrà a sostituire integralmente – per il futuro – la vigente Legge Fallimentare del’42.
Il nuovo codice è stato introdotto al fine di apportare importanti novità al diritto della crisi e dell’insolvenza; esso risulta maggiormente improntato ad una visione ‘dinamica e prospettica’ in luogo di quella troppo ‘statica’ che caratterizza l’attuale Legge Fallimentare.
L’obiettivo della riforma è creare le condizioni affinché l’imprenditore possa rendersi conto tempestivamente dell’eventuale stato di insolvenza futuro e si attivi al fine di evitare che la crisi diventi irreversibile.
Per tale ragione, l’art. 13 della riforma individua degli indicatori del dissesto finanziario, patrimoniale e reddituale che devono fungere da “campanello d’allarme”, nel senso di indurre l’imprenditore all’avvio delle c.d. “procedure di allerta” dinanzi all’OCRI (Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa) previste e disciplinate dagli artt. 16 e seguenti del Nuovo Codice.
Ogni qualvolta dovesse verificarsi una sola delle circostanze indicate dal predetto articolo quale indice di “allerta”, l’imprenditore deve “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 374, comma 2 ccii).
Con la conseguenza che se l’imprenditore non dovesse riuscire a riportare in equilibrio l’azienda potrebbe scattare la procedura di allerta, vale a dire un particolare procedimento volto a trovare un accordo con i creditori senza che la crisi sfoci in insolvenza.
L’allerta potrà essere interna – se attivata dall’imprenditore e/o dal collegio sindacale che in caso contrario potrebbero incorrere in gravi responsabilità – od esterna se attivata dalla Agenzia delle Entrate o altri creditori pubblici qualificati previsti dall’art. 15 del CCII.
Il Legislatore della riforma ha provveduto, inoltre, a chiarire per la prima volta la definizione di “stato di crisi”, che si affianca a quella di insolvenza già contemplato dalla Legge Fallimentare.
Essa, secondo quanto previsto dall’art. 2 del ccii, deve intendersi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Sempre il Legislatore della riforma ha, inoltre, ritenuto opportuno che si sostituisse il termine fallimento con l’espressione “liquidazione giudiziale” in conformità a quanto avviene in altri Paesi europei.
In questo modo è stata introdotta una terminologia meno penalizzante per gli imprenditori e finalizzata ad evitare il discredito sociale e personale che si accompagnava alla parola “fallito”.
- 2 IL DECRETO CORRETTIVO DEL 18 OTTOBRE 2020
Il Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza è stato emanato con D.lgs n. 14 del 2019 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio 2019).
Per la sua entrata in vigore era – almeno per la maggior parte dei suoi articoli – prevista una vacatio legis di ben un anno e mezzo, visto che l’art. 389 del ccii ne prevedeva l’entrata in vigore una volta decorsi diciotto mesi dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Come noto tuttavia, a causa dell’emergenza covid e delle sue ricadute anche sul tessuto economico nazionale, l’entrata in vigore del nuovo CCII è stata oggi ulteriormente differita al 1° settembre 2021.
Un periodo così lungo di vacatio legis è stato giustificato dalla necessità, avvertita dal legislatore, di consentire a tutti gli operatori del diritto (Giudici, Commercialisti, Avvocati, Ragionieri ecc…) di studiare la nuova normativa individuandone le eventuali criticità e consentire, proprio sulla scorta di queste ultime, al Governo di emanare i conseguenti e necessari decreti “correttivi” del nuovo ccii.
Sulla scorta di tali premesse non pochi studiosi hanno segnalato numerosi refusi e difetti di coordinamento tra norme che hanno spinto la commissione a riesaminare il nuovo codice.
Tra le principali novità si ha la modifica della definizione di crisi di cui all’art. 2 del Codice.
Il testo originario definiva la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Il testo attuale sostituisce le parole “difficoltà economico-finanziaria” con l’espressione “squilibrio economico-finanziario”, considerata più corretta secondo i parametri della scienza aziendalistica.
In questo modo le segnalazioni della situazione di crisi previste dalla disciplina dell’allerta potrebbero scattare in un momento leggermente successivo.
È stato, inoltre, ridefinito il cd. indice della crisi, in modo da renderlo maggiormente descrittivo di una situazione di insolvenza reversibile piuttosto che di una situazione di predizione di insolvenza.
A questo proposito, è stata chiarita la differenza tra i vari elementi che denotano l’emersione della situazione di squilibrio dell’impresa, che devono individuare la “non sostenibilità” dei debiti per almeno sei mesi successivi, l’assenza di prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso, oltre che ritardi – reiterati e significativi – nei pagamenti.
È stata anche modificata la disposizione contenuta nell’art. 15 del Codice riguardo l’obbligo di segnalazione relativo all’allerta esterna dell’Agenzia delle Entrate conseguente al superamento delle soglie sull’Iva non versata. Le soglie sono di 100.000 euro per un volume d’affari non superiore a 1 milione di euro risultante dalla dichiarazione per l’anno precedente; 500.000 euro per un volume d’affari fino a 10 milioni; 1 milione per un volume d’affari superiore.
Con il decreto correttivo è stata, inoltre, chiarita la nozione di gruppo di imprese, precisando che sono esclusi dalla definizione normativa oltre che lo Stato anche gli enti territoriali.
Per gruppo di imprese si intende l’insieme delle società, di imprese o enti che sono sottoposti ad attività di direzione e coordinamento che può essere esercitata non solo da una società, ma anche da un ente o da una persona fisica.
In questo modo si ammette una holding personale, non prevista né dal Codice civile né dalla Legge fallimentare del 1942.
Sono state riformulate persino le norme riferite alle situazioni in presenza delle quali è possibile presumere lo svolgimento, da parte di un’impresa, dell’attività di direzione e coordinamento.
La presunzione sussiste non solo quando una società risulta essere per legge obbligata alla redazione di un bilancio consolidato, ma anche quando si è in presenza di un controllo indiretto o congiunto delle società ad esse sottoposte.
Infine, gli studiosi della riforma hanno sollevato dubbi e perplessità in relazione alle disposizioni relative all’individuazione dei componenti degli “Organismi di composizione della crisi” e hanno insistito affinché tali disposizioni venissero rese maggiormente stringenti.
Il decreto prevede ora la possibilità che anche il debitore possa indicare il nominativo di un esperto componente dell’Ocri.
Difatti dei tre soggetti, di cui uno nominato dal tribunale delle imprese, uno dalla camera di commercio e uno dalle associazioni di categoria, quest’ultimo sarà nominato tenendo conto delle indicazioni fornite dallo stesso debitore.
Si tratta quindi di una modifica che va incontro al debitore, finalizzata ad una maggiore connessione tra l’imprenditore e la composizione assistita della crisi.
Avv. Claudio Grimaldi
Dott. Andrea Rega
Dott. Giuseppe Tarabuso
Fonte foto: database freepik
CRISI D’IMPRESA: APPROVATO IL DECRETO CORRETTIVO.
- 1 LE PRINCIPALI INNOVAZIONI INTRODOTTE IN AMBITO CONCORSUALE DAL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA.
Il 1° settembre 2021 entrerà in vigore il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (in breve “CCII”) che andrà a sostituire integralmente – per il futuro – la vigente Legge Fallimentare del’42.
Il nuovo codice è stato introdotto al fine di apportare importanti novità al diritto della crisi e dell’insolvenza; esso risulta maggiormente improntato ad una visione ‘dinamica e prospettica’ in luogo di quella troppo ‘statica’ che caratterizza l’attuale Legge Fallimentare.
L’obiettivo della riforma è creare le condizioni affinché l’imprenditore possa rendersi conto tempestivamente dell’eventuale stato di insolvenza futuro e si attivi al fine di evitare che la crisi diventi irreversibile.
Per tale ragione, l’art. 13 della riforma individua degli indicatori del dissesto finanziario, patrimoniale e reddituale che devono fungere da “campanello d’allarme”, nel senso di indurre l’imprenditore all’avvio delle c.d. “procedure di allerta” dinanzi all’OCRI (Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa) previste e disciplinate dagli artt. 16 e seguenti del Nuovo Codice.
Ogni qualvolta dovesse verificarsi una sola delle circostanze indicate dal predetto articolo quale indice di “allerta”, l’imprenditore deve “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 374, comma 2 ccii).
Con la conseguenza che se l’imprenditore non dovesse riuscire a riportare in equilibrio l’azienda potrebbe scattare la procedura di allerta, vale a dire un particolare procedimento volto a trovare un accordo con i creditori senza che la crisi sfoci in insolvenza.
L’allerta potrà essere interna – se attivata dall’imprenditore e/o dal collegio sindacale che in caso contrario potrebbero incorrere in gravi responsabilità – od esterna se attivata dalla Agenzia delle Entrate o altri creditori pubblici qualificati previsti dall’art. 15 del CCII.
Il Legislatore della riforma ha provveduto, inoltre, a chiarire per la prima volta la definizione di “stato di crisi”, che si affianca a quella di insolvenza già contemplato dalla Legge Fallimentare.
Essa, secondo quanto previsto dall’art. 2 del ccii, deve intendersi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.
Sempre il Legislatore della riforma ha, inoltre, ritenuto opportuno che si sostituisse il termine fallimento con l’espressione “liquidazione giudiziale” in conformità a quanto avviene in altri Paesi europei.
In questo modo è stata introdotta una terminologia meno penalizzante per gli imprenditori e finalizzata ad evitare il discredito sociale e personale che si accompagnava alla parola “fallito”.
- 2 IL DECRETO CORRETTIVO DEL 18 OTTOBRE 2020
Il Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza è stato emanato con D.lgs n. 14 del 2019 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 febbraio 2019).
Per la sua entrata in vigore era – almeno per la maggior parte dei suoi articoli – prevista una vacatio legis di ben un anno e mezzo, visto che l’art. 389 del ccii ne prevedeva l’entrata in vigore una volta decorsi diciotto mesi dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Come noto tuttavia, a causa dell’emergenza covid e delle sue ricadute anche sul tessuto economico nazionale, l’entrata in vigore del nuovo CCII è stata oggi ulteriormente differita al 1° settembre 2021.
Un periodo così lungo di vacatio legis è stato giustificato dalla necessità, avvertita dal legislatore, di consentire a tutti gli operatori del diritto (Giudici, Commercialisti, Avvocati, Ragionieri ecc…) di studiare la nuova normativa individuandone le eventuali criticità e consentire, proprio sulla scorta di queste ultime, al Governo di emanare i conseguenti e necessari decreti “correttivi” del nuovo ccii.
Sulla scorta di tali premesse non pochi studiosi hanno segnalato numerosi refusi e difetti di coordinamento tra norme che hanno spinto la commissione a riesaminare il nuovo codice.
Tra le principali novità si ha la modifica della definizione di crisi di cui all’art. 2 del Codice.
Il testo originario definiva la crisi come “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. Il testo attuale sostituisce le parole “difficoltà economico-finanziaria” con l’espressione “squilibrio economico-finanziario”, considerata più corretta secondo i parametri della scienza aziendalistica.
In questo modo le segnalazioni della situazione di crisi previste dalla disciplina dell’allerta potrebbero scattare in un momento leggermente successivo.
È stato, inoltre, ridefinito il cd. indice della crisi, in modo da renderlo maggiormente descrittivo di una situazione di insolvenza reversibile piuttosto che di una situazione di predizione di insolvenza.
A questo proposito, è stata chiarita la differenza tra i vari elementi che denotano l’emersione della situazione di squilibrio dell’impresa, che devono individuare la “non sostenibilità” dei debiti per almeno sei mesi successivi, l’assenza di prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso, oltre che ritardi – reiterati e significativi – nei pagamenti.
È stata anche modificata la disposizione contenuta nell’art. 15 del Codice riguardo l’obbligo di segnalazione relativo all’allerta esterna dell’Agenzia delle Entrate conseguente al superamento delle soglie sull’Iva non versata. Le soglie sono di 100.000 euro per un volume d’affari non superiore a 1 milione di euro risultante dalla dichiarazione per l’anno precedente; 500.000 euro per un volume d’affari fino a 10 milioni; 1 milione per un volume d’affari superiore.
Con il decreto correttivo è stata, inoltre, chiarita la nozione di gruppo di imprese, precisando che sono esclusi dalla definizione normativa oltre che lo Stato anche gli enti territoriali.
Per gruppo di imprese si intende l’insieme delle società, di imprese o enti che sono sottoposti ad attività di direzione e coordinamento che può essere esercitata non solo da una società, ma anche da un ente o da una persona fisica.
In questo modo si ammette una holding personale, non prevista né dal Codice civile né dalla Legge fallimentare del 1942.
Sono state riformulate persino le norme riferite alle situazioni in presenza delle quali è possibile presumere lo svolgimento, da parte di un’impresa, dell’attività di direzione e coordinamento.
La presunzione sussiste non solo quando una società risulta essere per legge obbligata alla redazione di un bilancio consolidato, ma anche quando si è in presenza di un controllo indiretto o congiunto delle società ad esse sottoposte.
Infine, gli studiosi della riforma hanno sollevato dubbi e perplessità in relazione alle disposizioni relative all’individuazione dei componenti degli “Organismi di composizione della crisi” e hanno insistito affinché tali disposizioni venissero rese maggiormente stringenti.
Il decreto prevede ora la possibilità che anche il debitore possa indicare il nominativo di un esperto componente dell’Ocri.
Difatti dei tre soggetti, di cui uno nominato dal tribunale delle imprese, uno dalla camera di commercio e uno dalle associazioni di categoria, quest’ultimo sarà nominato tenendo conto delle indicazioni fornite dallo stesso debitore.
Si tratta quindi di una modifica che va incontro al debitore, finalizzata ad una maggiore connessione tra l’imprenditore e la composizione assistita della crisi.
Avv. Claudio Grimaldi
Dott. Andrea Rega
Dott. Giuseppe Tarabuso
Fonte foto: database freepik
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