L’azione di accertamento del credito dell’avvocato: riti applicabili e fori competenti
Con la Sentenza n. 4247/2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono, nuovamente, intervenute sull’azione di accertamento del credito dell’Avvocato, con riferimento ai riti applicabili e ai Fori competenti, ribadendo il seguente principio di diritto: “ Nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire ex art. 28, L. 794/1942, come modificato dall’art. 34 comma 16, Lett. a)D.lgs n. 150/2011, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dall’art. 14 del medesimo decreto e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più gradi e/o fasi di Giudizio, la competenza è dell’Ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa”
La pronuncia de qua trae origine da una declaratoria di incompetenza resa dal Tribunale di Napoli, in relazione ad una domanda di liquidazione dei compensi dell’Avvocato, per il patrocinio reso dallo stesso dinnanzi al Tribunale, avendo il professionista svolto la propria attività professionale in più gradi del Giudizio.
In particolare, il Procuratore sosteneva che il Tribunale adito avrebbe disatteso le indicazioni della Sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 4485/2018, secondo cui nei procedimenti ex. Art. 14 del D.lgs n. 150/2011, quando le prestazioni del difensore vengono svolte davanti ad Uffici Giudiziari diversi, per ottenere il relativo compenso, occorrerebbe proporre domande autonome dinnanzi a ciascun Giudice adito, con esclusione della possibilità di riconoscere al Giudice di secondo grado ( o al Giudice che abbia trattato per ultimo il Giudizio) la competenza per l’intera controversia.
La suprema Corte, a Sezioni Unite, rigettava il ricorso e dichiarava la competenza della Corte d’Appello di Napoli.
Orbene, a fondamento del principio richiamato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato sottolineato che nella formulazione attuale dell’art. 28, per “decisione della causa”, deve intendersi il provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento, come già affermato in precedenza dalla stessa Corte.
Ancora, la Suprema Corte ha rimarcato l’ulteriore orientamento, già confermato da consolidata Giurisprudenza, a fronte del quale la peculiarità del Procedimento speciale, consiste nella conclusione dello stesso con un provvedimento sottratto alla garanzia del doppio grado di merito.
Alle suddette caratteristiche e alla correlata tutela del diritto di difesa, risponde, secondo le Sezioni Unite, anche la proponibilità da parte dell’interessato di un unico Giudizio dinanzi alla Corte d’ Appello (sul punto la stessa Corte Costituzionale ne fa espresso riferimento nell’ambito della Sentenza n. 65/2014) per chiedere i compensi dell’attività professionale svolta in più gradi o fasi di un unico processo, di cui la Corte d’Appello sia il Giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
Da ciò deriva che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione operata unilateralmente dal creditore si traduce in una modificazione aggravativa della posizione del debitore, ponendosi in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo.
Di converso, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposti in separati processi, purchè ciò non comporti una duplice attività istruttoria e una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale.
Pertanto, si può concludere che secondo le Sezioni Unite, la regola generale nel procedimento ex art. 28 L. n. 794/1942, così come modificato dagli artt. 14 e 34 D. Lgs n. 150/2011, in caso di attività professionale svolta dall’Avvocato in più gradi e fasi del processo in favore del medesimo cliente deve intendersi quella che la domanda va proposta al Giudice collegiale che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
In via meramente residuale, si potranno proporre distinte domande davanti a ciascuno degli Uffici laddove si sia svolta l’attività professionale, soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito.
Con riferimento al Foro competente, qualora il cliente, venga qualificato come consumatore, deve ritenersi prevalente il Foro del consumatore ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, 2 comma, lett. u) del D.Lgs n. 206/2005, qualunqua sia il procedimento scelto.
Qualora la procedura scelta sia quella prevista dall’art. 14 L. 150/2011, il Foro competente sarà quello ove l’Avvocato ha prestato la propria opera.
Infine, ove l’Avvocato scelga il ricorso monitorio, saranno alternativamente competenti i Fori di cui all’art. 637 commi 1,2 e 3, rispettivamente dinnanzi al Giudice che sarebbe competente per il Giudizio ordinario, l’ufficio Giudiziario che ha deciso della causa cui il credito professionale si riferisce, ovvero il Giudice ove abbia sede il Consiglio dell’Ordine cui l’Avvocato è iscritto.
L’azione di accertamento del credito dell’avvocato: riti applicabili e fori competenti
Con la Sentenza n. 4247/2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono, nuovamente, intervenute sull’azione di accertamento del credito dell’Avvocato, con riferimento ai riti applicabili e ai Fori competenti, ribadendo il seguente principio di diritto: “ Nel caso in cui un avvocato abbia scelto di agire ex art. 28, L. 794/1942, come modificato dall’art. 34 comma 16, Lett. a)D.lgs n. 150/2011, nei confronti del proprio cliente, proponendo l’azione prevista dall’art. 14 del medesimo decreto e chiedendo la condanna del cliente al pagamento dei compensi per l’opera prestata in più gradi e/o fasi di Giudizio, la competenza è dell’Ufficio giudiziario di merito che ha deciso per ultimo la causa”
La pronuncia de qua trae origine da una declaratoria di incompetenza resa dal Tribunale di Napoli, in relazione ad una domanda di liquidazione dei compensi dell’Avvocato, per il patrocinio reso dallo stesso dinnanzi al Tribunale, avendo il professionista svolto la propria attività professionale in più gradi del Giudizio.
In particolare, il Procuratore sosteneva che il Tribunale adito avrebbe disatteso le indicazioni della Sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 4485/2018, secondo cui nei procedimenti ex. Art. 14 del D.lgs n. 150/2011, quando le prestazioni del difensore vengono svolte davanti ad Uffici Giudiziari diversi, per ottenere il relativo compenso, occorrerebbe proporre domande autonome dinnanzi a ciascun Giudice adito, con esclusione della possibilità di riconoscere al Giudice di secondo grado ( o al Giudice che abbia trattato per ultimo il Giudizio) la competenza per l’intera controversia.
La suprema Corte, a Sezioni Unite, rigettava il ricorso e dichiarava la competenza della Corte d’Appello di Napoli.
Orbene, a fondamento del principio richiamato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato sottolineato che nella formulazione attuale dell’art. 28, per “decisione della causa”, deve intendersi il provvedimento conclusivo che definisce l’intero procedimento, come già affermato in precedenza dalla stessa Corte.
Ancora, la Suprema Corte ha rimarcato l’ulteriore orientamento, già confermato da consolidata Giurisprudenza, a fronte del quale la peculiarità del Procedimento speciale, consiste nella conclusione dello stesso con un provvedimento sottratto alla garanzia del doppio grado di merito.
Alle suddette caratteristiche e alla correlata tutela del diritto di difesa, risponde, secondo le Sezioni Unite, anche la proponibilità da parte dell’interessato di un unico Giudizio dinanzi alla Corte d’ Appello (sul punto la stessa Corte Costituzionale ne fa espresso riferimento nell’ambito della Sentenza n. 65/2014) per chiedere i compensi dell’attività professionale svolta in più gradi o fasi di un unico processo, di cui la Corte d’Appello sia il Giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
Da ciò deriva che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione operata unilateralmente dal creditore si traduce in una modificazione aggravativa della posizione del debitore, ponendosi in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo.
Di converso, le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposti in separati processi, purchè ciò non comporti una duplice attività istruttoria e una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale.
Pertanto, si può concludere che secondo le Sezioni Unite, la regola generale nel procedimento ex art. 28 L. n. 794/1942, così come modificato dagli artt. 14 e 34 D. Lgs n. 150/2011, in caso di attività professionale svolta dall’Avvocato in più gradi e fasi del processo in favore del medesimo cliente deve intendersi quella che la domanda va proposta al Giudice collegiale che abbia conosciuto per ultimo della controversia.
In via meramente residuale, si potranno proporre distinte domande davanti a ciascuno degli Uffici laddove si sia svolta l’attività professionale, soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata del credito.
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