L’esdebitazione. Dalla legge fallimentare e dalla legge sul sovraindebitamento al nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
L’esdebitazione è un istituto introdotto, nell’ambito della Legge Fallimentare, per effetto della riforma intervenuta con il D.lgs n. 5/2006 ed attualmente esso è disciplinato dagli artt. da 142 a 144 della medesima legge.
L’esdebitazione, per come prevista dagli articoli in discorso, trova applicazione solo per i fallimenti dichiarati dopo il 16 luglio 2016 e soddisfa, sostanzialmente, l’interesse dell’imprenditore ad intraprendere, successivamente al fallimento, una nuova attività imprenditoriale ripartendo sostanzialmente da un azzeramento dell’esposizione debitoria, attraverso una sostanziale cancellazione della sua esposizione debitoria.
In sostanza viene riconosciuta all’imprenditore dichiarato fallito la possibilità di riattivarsi sul mercato senza i vincoli della pregressa esposizione debitoria.
Al tempo stesso l’istituto della c.d. “esdebitazione” rappresenta una misura premiale per l’imprenditore dichiarato fallito che – nel corso della procedura fallimentare – abbia contribuito allo svolgersi della procedura fallimentare in modo ordinato e veloce, contribuendo attivamente alla ricostruzione dell’attivo e del passivo fallimentare per consentire il massimo realizzo del ceto creditorio.
Stando alla disposizione dell’art. 142 n. 2 della Legge Fallimentare il presupposto affinchè il fallito possa, alla chiusura della procedura fallimentare, beneficiare dell’”esdebitazione” è rappresentato dal fatto che nell’ambito della procedura stessa sia stato possibile provvedere al pagamento almeno parziale del ceto creditorio ammesso al passivo.
Infatti l’accesso all’istituto in discorso è precluso nell’ipotesi in cui, nel corso della procedura fallimentare, non sia stato possibile soddisfare nemmeno in parte il ceto creditorio.
Questa preclusione deve essere tenuta in massima considerazione in quanto, come si dirà in seguito, rappresenta una delle principali differenze tra l’istituto dell’”esdebitazione” come disciplinato nell’ambito della Legge fallimentare e la diversa disciplina dettata, invece, dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza introdotto, in attuazione della Legge Delega n. 155 del 2017, con il D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019.
L’esdebitazione, ricorrendone i necessari presupposti, è disposta dal TRIBUNALE FALLIMENTARE con il decreto di chiusura del fallimento o, su ricorso dell’interessato e previo parere del curatore e del Comitati dei creditori, entro un anno dalla chiusura della procedura fallimentare.
In sostanza con il provvedimento che dispone l’”esdebitazione” il Tribunale dichiara “inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente”.
Pertanto l’esdebitazione non comporta l’estinzione dei debiti, ma solo la loro inesigibilità nei confronti del debitore, lasciando quindi inalterata per il creditore la possibilità di agire nei confronti di eventuali obbligati solidali, obbligati in via di regresso o fideiussori.
Il provvedimento che dispone l’esdebitazione estende i suoi effetti anche ai crediti sorti in epoca antecedente all’apertura della procedura fallimentare e per i quali non è stata presentata domanda di insinuazione al passivo.
Essendo l’”esdebitazione” un istituto contemplato dalla Legge Fallimentare e con riferimento alla sola ipotesi di fallimento, per molti anni dell’istituto in discorso non hanno potuto usufruire tutti quei soggetti (come ad esempio il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo, il debitore civile o il consumatore) che, non possedendo i requisiti richiesti dall’art. 1 della Legge Fallimentare, non erano assoggettabili alla disciplina relativa al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
Infatti la riforma della Legge Fallimentare introdotta con il menzionato D.lgs n. 5/2006 non aveva previsto – per l’insolvente civile, l’imprenditore non commerciale, il piccolo imprenditore, il consumatore ecc..- un rinvio alla normativa prevista dalla Legge Fallimentare per l’ imprenditore commerciale dichiarato fallito.
Per tutti i soggetti non suscettibili di fallimento quindi, per effetto della Legge n. 3 del 27.01.2012 ( “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”) venne introdotta un’apposita normativa per la regolamentazione “concorsuale” del loro stato di crisi, introducendo apposite procedure finalizzate a porre rimedio alle “situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali” in cui si venivano a trovare per l’appunto i soggetti non fallibili.
Successivamente, per effetto della legge di riforma n. 212/2012 (entrata in vigore nel mese di gennaio del 2013), venne integrata la normativa in discorso prevedendo, per i menzionati soggetti non assoggettabili a procedure concorsuale, tre distinte procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e nello specifico: 1) l’accordo di ristrutturazione; 2) il piano del consumatore e 3) la liquidazione dei beni.
Orbene è stato previsto che – nell’ipotesi in cui l’insolvente civile, il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo o semplicemente il consumatore facciano ricorso alla particolare procedura della “liquidazione dei beni” (sostanzialmente l’equivalente della procedura liquidatoria fallimentare) – all’esito di tale procedura i medesimi soggetti possano fare ricorso all’istituto dell’esdebitazione (art. 14 terdecies della Legge n. 3 del 27.01.2012) attraverso l’introduzione di una disciplina che, sostanzialmente, ricalca quella dell’esdebitazione prevista in sede fallimentare dagli artt. da 142 a 144 della Legge Fallimentare.
Ancora successivamente, con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, recentemente introdotto con il D. lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, è stata infine introdotta una disciplina unica per tutte le ipotesi di crisi e di insolvenza, sia che riguardino l’imprenditore commerciale (e quindi assoggettabile alle procedure concorsuali secondo le previsioni della Legge Fallimentare attualmente in vigore) e sia nel caso in cui riguardino invece soggetti esclusi dall’accesso alle procedure concorsuali (cfr. sul punto l’art. 1, primo comma, del nuovo codice).
La nuova disciplina si applica quindi a qualunque debitore versi in uno stato di crisi o di insolvenza, anche nel caso in si tratti di un consumatore, di un professionista, di un piccolo imprenditore, di un imprenditore non commerciale o dell’insolvente civile (quindi di quei soggetti in favore dei quali era stata emessa la legge n. 3 del 27.01.2012).
Pertanto è stata oggi introdotta un’unica disciplina che prevede uniche procedure per porre rimedio a tutte le situazioni di crisi e di insolvenza e, tra tali procedure, vi è anche la c.d. “liquidazione giudiziale” (cfr. TITOLO V del nuovo codice) destinata a prendere il posto della procedura fallimentare attualmente prevista dalla Legge Fallimentare.
Pertanto, proprio in relazione ad una tale procedura di liquidazione giudiziale, il capo X del Titolo V del nuovo codice prevede per l’appunto (negli artt. 278 e segg.) un’unica disciplina dell’istituto dell’”esdebitazione” a cui tutti i soggetti menzionati nell’art. 1, primo comma, del nuovo codice possono ricorrere al termine della procedura di Liquidazione Giudiziale, ricorrendo determinati presupposti che sostanzialmente ricalcano quelli in precedenza contemplati sia dagli artt. 142 – 144 della Legge Fallimentare e sia dalla Legge n. 3 del 27.01.2012 (“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”).
Il beneficio in discorso, secondo la nuova normativa, può essere ottenuto alla fine della procedura di liquidazione giudiziale e in ogni caso non oltre il decorso di tre anni dalla sua apertura (due anni per coloro che si sono attivati tempestivamente per accedere alle procedure di composizione della crisi), a condizione che il debitore non abbia riportato condanne definitive per reati connessi all’attività d’impresa o in ogni caso non abbia tenuto condotte pregiudizievoli per il ceto creditorio ovvero ostacolato l’ordinato e tempestivo svolgimento della procedura (ad esempio non fornendo documenti o informazioni necessari per ricostruire la propria situazione patrimoniale ed economica).
Inoltre il ricorso all’istituto in esame rimane precluso per coloro che abbiano già beneficiato dell’”esdebitazione” nei cinque anni antecedenti la scadenza del termine per ricorrere all’istituto o abbiano già beneficiato dell’istituto in esame per due volte.
Sono esclusi inoltre dall’esdebitazione i debiti relativi a:
- obblighi di mantenimento e alimentari;
- obbligazioni risarcitorie derivanti da responsabilità extracontrattuale e
- sanzioni penali e amministrative di natura pecuniaria, a condizione che non siano accessorie di debiti estinti.
Una novità importante, rispetto alla normativa oggi in vigore, è rappresentata dal fatto che il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza estende la possibilità di ricorrere all’ “esdebitazione” anche all’ ipotesi in cui nel corso della procedura di liquidazione giudiziale non sia stato in alcun modo possibile soddisfare almeno in parte il ceto creditorio (l’art. 278 del nuovo codice riferisce di “crediti rimasti insoddisfatti”).
Anche riguardo all’istituto dell’”esdebitazione” è quindi evidente l’intento del legislatore che, con il nuovo codice, ha tentato di ricondurre ad unità di disciplina le molteplici situazioni di crisi e di insolvenza che, sino ad oggi, sono invece state disciplinate da leggi distinte.
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L’esdebitazione, per come prevista dagli articoli in discorso, trova applicazione solo per i fallimenti dichiarati dopo il 16 luglio 2016 e soddisfa, sostanzialmente, l’interesse dell’imprenditore ad intraprendere, successivamente al fallimento, una nuova attività imprenditoriale ripartendo sostanzialmente da un azzeramento dell’esposizione debitoria, attraverso una sostanziale cancellazione della sua esposizione debitoria.
In sostanza viene riconosciuta all’imprenditore dichiarato fallito la possibilità di riattivarsi sul mercato senza i vincoli della pregressa esposizione debitoria.
Al tempo stesso l’istituto della c.d. “esdebitazione” rappresenta una misura premiale per l’imprenditore dichiarato fallito che – nel corso della procedura fallimentare – abbia contribuito allo svolgersi della procedura fallimentare in modo ordinato e veloce, contribuendo attivamente alla ricostruzione dell’attivo e del passivo fallimentare per consentire il massimo realizzo del ceto creditorio.
Stando alla disposizione dell’art. 142 n. 2 della Legge Fallimentare il presupposto affinchè il fallito possa, alla chiusura della procedura fallimentare, beneficiare dell’”esdebitazione” è rappresentato dal fatto che nell’ambito della procedura stessa sia stato possibile provvedere al pagamento almeno parziale del ceto creditorio ammesso al passivo.
Infatti l’accesso all’istituto in discorso è precluso nell’ipotesi in cui, nel corso della procedura fallimentare, non sia stato possibile soddisfare nemmeno in parte il ceto creditorio.
Questa preclusione deve essere tenuta in massima considerazione in quanto, come si dirà in seguito, rappresenta una delle principali differenze tra l’istituto dell’”esdebitazione” come disciplinato nell’ambito della Legge fallimentare e la diversa disciplina dettata, invece, dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza introdotto, in attuazione della Legge Delega n. 155 del 2017, con il D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019.
L’esdebitazione, ricorrendone i necessari presupposti, è disposta dal TRIBUNALE FALLIMENTARE con il decreto di chiusura del fallimento o, su ricorso dell’interessato e previo parere del curatore e del Comitati dei creditori, entro un anno dalla chiusura della procedura fallimentare.
In sostanza con il provvedimento che dispone l’”esdebitazione” il Tribunale dichiara “inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente”.
Pertanto l’esdebitazione non comporta l’estinzione dei debiti, ma solo la loro inesigibilità nei confronti del debitore, lasciando quindi inalterata per il creditore la possibilità di agire nei confronti di eventuali obbligati solidali, obbligati in via di regresso o fideiussori.
Il provvedimento che dispone l’esdebitazione estende i suoi effetti anche ai crediti sorti in epoca antecedente all’apertura della procedura fallimentare e per i quali non è stata presentata domanda di insinuazione al passivo.
Essendo l’”esdebitazione” un istituto contemplato dalla Legge Fallimentare e con riferimento alla sola ipotesi di fallimento, per molti anni dell’istituto in discorso non hanno potuto usufruire tutti quei soggetti (come ad esempio il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo, il debitore civile o il consumatore) che, non possedendo i requisiti richiesti dall’art. 1 della Legge Fallimentare, non erano assoggettabili alla disciplina relativa al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
Infatti la riforma della Legge Fallimentare introdotta con il menzionato D.lgs n. 5/2006 non aveva previsto – per l’insolvente civile, l’imprenditore non commerciale, il piccolo imprenditore, il consumatore ecc..- un rinvio alla normativa prevista dalla Legge Fallimentare per l’ imprenditore commerciale dichiarato fallito.
Per tutti i soggetti non suscettibili di fallimento quindi, per effetto della Legge n. 3 del 27.01.2012 ( “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”) venne introdotta un’apposita normativa per la regolamentazione “concorsuale” del loro stato di crisi, introducendo apposite procedure finalizzate a porre rimedio alle “situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali” in cui si venivano a trovare per l’appunto i soggetti non fallibili.
Successivamente, per effetto della legge di riforma n. 212/2012 (entrata in vigore nel mese di gennaio del 2013), venne integrata la normativa in discorso prevedendo, per i menzionati soggetti non assoggettabili a procedure concorsuale, tre distinte procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e nello specifico: 1) l’accordo di ristrutturazione; 2) il piano del consumatore e 3) la liquidazione dei beni.
Orbene è stato previsto che – nell’ipotesi in cui l’insolvente civile, il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo o semplicemente il consumatore facciano ricorso alla particolare procedura della “liquidazione dei beni” (sostanzialmente l’equivalente della procedura liquidatoria fallimentare) – all’esito di tale procedura i medesimi soggetti possano fare ricorso all’istituto dell’esdebitazione (art. 14 terdecies della Legge n. 3 del 27.01.2012) attraverso l’introduzione di una disciplina che, sostanzialmente, ricalca quella dell’esdebitazione prevista in sede fallimentare dagli artt. da 142 a 144 della Legge Fallimentare.
Ancora successivamente, con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, recentemente introdotto con il D. lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, è stata infine introdotta una disciplina unica per tutte le ipotesi di crisi e di insolvenza, sia che riguardino l’imprenditore commerciale (e quindi assoggettabile alle procedure concorsuali secondo le previsioni della Legge Fallimentare attualmente in vigore) e sia nel caso in cui riguardino invece soggetti esclusi dall’accesso alle procedure concorsuali (cfr. sul punto l’art. 1, primo comma, del nuovo codice).
La nuova disciplina si applica quindi a qualunque debitore versi in uno stato di crisi o di insolvenza, anche nel caso in si tratti di un consumatore, di un professionista, di un piccolo imprenditore, di un imprenditore non commerciale o dell’insolvente civile (quindi di quei soggetti in favore dei quali era stata emessa la legge n. 3 del 27.01.2012).
Pertanto è stata oggi introdotta un’unica disciplina che prevede uniche procedure per porre rimedio a tutte le situazioni di crisi e di insolvenza e, tra tali procedure, vi è anche la c.d. “liquidazione giudiziale” (cfr. TITOLO V del nuovo codice) destinata a prendere il posto della procedura fallimentare attualmente prevista dalla Legge Fallimentare.
Pertanto, proprio in relazione ad una tale procedura di liquidazione giudiziale, il capo X del Titolo V del nuovo codice prevede per l’appunto (negli artt. 278 e segg.) un’unica disciplina dell’istituto dell’”esdebitazione” a cui tutti i soggetti menzionati nell’art. 1, primo comma, del nuovo codice possono ricorrere al termine della procedura di Liquidazione Giudiziale, ricorrendo determinati presupposti che sostanzialmente ricalcano quelli in precedenza contemplati sia dagli artt. 142 – 144 della Legge Fallimentare e sia dalla Legge n. 3 del 27.01.2012 (“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”).
Il beneficio in discorso, secondo la nuova normativa, può essere ottenuto alla fine della procedura di liquidazione giudiziale e in ogni caso non oltre il decorso di tre anni dalla sua apertura (due anni per coloro che si sono attivati tempestivamente per accedere alle procedure di composizione della crisi), a condizione che il debitore non abbia riportato condanne definitive per reati connessi all’attività d’impresa o in ogni caso non abbia tenuto condotte pregiudizievoli per il ceto creditorio ovvero ostacolato l’ordinato e tempestivo svolgimento della procedura (ad esempio non fornendo documenti o informazioni necessari per ricostruire la propria situazione patrimoniale ed economica).
Inoltre il ricorso all’istituto in esame rimane precluso per coloro che abbiano già beneficiato dell’”esdebitazione” nei cinque anni antecedenti la scadenza del termine per ricorrere all’istituto o abbiano già beneficiato dell’istituto in esame per due volte.
Sono esclusi inoltre dall’esdebitazione i debiti relativi a:
- obblighi di mantenimento e alimentari;
- obbligazioni risarcitorie derivanti da responsabilità extracontrattuale e
- sanzioni penali e amministrative di natura pecuniaria, a condizione che non siano accessorie di debiti estinti.
Una novità importante, rispetto alla normativa oggi in vigore, è rappresentata dal fatto che il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza estende la possibilità di ricorrere all’ “esdebitazione” anche all’ ipotesi in cui nel corso della procedura di liquidazione giudiziale non sia stato in alcun modo possibile soddisfare almeno in parte il ceto creditorio (l’art. 278 del nuovo codice riferisce di “crediti rimasti insoddisfatti”).
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