Cannabis Light, per la Cassazione è reato
La IV Sezione penale, con ordinanza n. 8654 dell’8 febbraio 2019, aveva rimesso alle Sezioni unite la questione «se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L – rientrino o meno nell’ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa».
Le Sezioni Unite, con l’informazione provvisoria numero 15 del 30 maggio 2019, hanno così stabilito che la vendita di prodotti di tale tipo costituisce reato.
La pronuncia ha origine da un procedimento a carico di un commerciante di cannabis light nelle Marche. Le Sezioni Unite, nello specifico hanno affermato che: “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Proprio quest’ultimo passaggio ha suscitato reazioni contrastanti –nello specifico da parte di molti commercianti – perché stabilendo con questa pronuncia che la cannabis Light non rientra in quella forbice di tolleranza stabilita dalla legge 246/2016 e che per tale motivo integra il reato di all’art. 73, comma 1 e 4, d. P.R. n. 309/1990 si è affermato di conseguenza che non ha un contenuto di Thc tra lo 0,2 e lo 0,6% e che dunque non è “priva di efficacia drogante”. Ciò ha indubbiamente creato un evidente danno agli operatori che già lavoravano in questo nuovo settore e ai negozianti di tali prodotti.
Il verdetto emesso dalle Sezioni Unite si è concluso con l’annullamento con rinvio della revoca di un sequestro di prodotti derivati dalla cannabis.
Dott.ssa Simona Arcieri
Cannabis Light, per la Cassazione è reato
La IV Sezione penale, con ordinanza n. 8654 dell’8 febbraio 2019, aveva rimesso alle Sezioni unite la questione «se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L – rientrino o meno nell’ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa».
Le Sezioni Unite, con l’informazione provvisoria numero 15 del 30 maggio 2019, hanno così stabilito che la vendita di prodotti di tale tipo costituisce reato.
La pronuncia ha origine da un procedimento a carico di un commerciante di cannabis light nelle Marche. Le Sezioni Unite, nello specifico hanno affermato che: “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Proprio quest’ultimo passaggio ha suscitato reazioni contrastanti –nello specifico da parte di molti commercianti – perché stabilendo con questa pronuncia che la cannabis Light non rientra in quella forbice di tolleranza stabilita dalla legge 246/2016 e che per tale motivo integra il reato di all’art. 73, comma 1 e 4, d. P.R. n. 309/1990 si è affermato di conseguenza che non ha un contenuto di Thc tra lo 0,2 e lo 0,6% e che dunque non è “priva di efficacia drogante”. Ciò ha indubbiamente creato un evidente danno agli operatori che già lavoravano in questo nuovo settore e ai negozianti di tali prodotti.
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