Attestazione di fattibilità del piano di risanamento. Contenuto e forma.
In tutte le ipotesi di soluzione concordata della crisi d’impresa ricorre la figura del c.d. “professionista attestatore” il cui compito è quello, prima che il piano di risanamento predisposto dall’imprenditore in crisi venga sottoposto all’esame del ceto creditori, di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di ristrutturazione.
La figura di tale professionista la troviamo sia nell’ipotesi del c.d. “piano attestato di risanamento” di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare e sia nell’ipotesi del “concordato preventivo” disciplinato dagli artt. 160 e segg. della medesima legge.
Inoltre, sia pure con un ruolo di attestazione di contenuto diverso, tale figura ricorre anche nell’ipotesi degli “accordi di ristrutturazione” previsti dall’art. 182 bis della Legge Fallimentare.
Il compito del professionista di attestare, nel c.d. “piano attestato di risanamento” o nell’ipotesi di “concordato preventivo”, la c.d. “fattibilità” del piano di ristrutturazione predisposto dall’imprenditore in crisi sembra assumere un’intensità diversa a seconda della soluzione di composizione concordata della crisi d’impresa prescelto dall’imprenditore.
Infatti, anche all’esito della riforma della Legge Fallimentare introdotta con il d.l. n. 83/2012 (convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 7 agosto 2012), nell’ambito del “piano attestato di risanamento” previsto dall’art. 67, terzo comma, lettera d) il compito del professionista di attestare la fattibilità del piano sembra avere un contenuto di minore intensità e ciò in quanto a ben vedere, a differenza di quanto previsto in ordine alle procedure del “concordato preventivo” (art. 161 della L.F.), nella previsione dell’art. 67 della Legge Fallimentare non compare la necessità di compiere tale attestazione di fattibilità del piano di risanamento attraverso l’elaborazione di una vera e propria “relazione”.
Occorre premettere che il testo previgente dell’art. 67 della Legge Fallimentare, anteriore alla predetta riforma del 2012, relativamente al piano attestato di risanamento non prevedeva la necessità del professionista di attestare la “fattibilità” del piano, quanto piuttosto la sua “ragionevolezza”.
Il testo previgente dell’art. 67 della Legge Fallimentare (norma relativa all’azione di revocatoria fallimentare ma in cui è contemplata, tra le ipotesi di esenzione, anche quella dell’esecuzione di un piano attestato di risanamento) prevedeva espressamente, al terzo comma lettera d), l’esenzione dall’azione di revocatoria fallimentare per i pagamenti e gli atti posti in essere “in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il ripianamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501 bis, quarto comma, del codice civile”.
Originariamente, quindi, con riferimento all’ipotesi del piano attestato di risanamento di cui all’art. 67 della L.F. il compito del professionista era solo quello di attestare la “ragionevolezza” del piano di risanamento e, quindi, la sua complessiva coerenza e logicità, senza quindi dover estendere il suo esame anche alla c.d. “fattibilità” e quindi all’effettiva idoneità del piano di risanamento complessivamente considerato (le scelte che si vogliono compiere, le operazioni che si intendono porre in essere, i mezzi che si vogliono impiegare ecc..) al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, di risanamento dell’impresa e recupero del suo equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.
Successivamente, per effetto della Legge di riforma introdotto con il d.l. n. 83/2012 e della conseguente modifica del testo dell’art. 67 della Legge Fallimentare, si è inteso sostituire il termine “ragionevolezza” con il diverso termine di “fattibilità” e, conseguentemente, si è voluto attribuire all’attestatore il compito di svolgere uno studio maggiormente approfondito del piano di risanamento, non limitato al solo esame della sua coerenza complessiva.
Lo studio di “fattibilità” di un piano di risanamento richiede infatti, che il Professionista, partendo da un esame della situazione complessiva dell’impresa ed evidenziandone le criticità, valuti il piano medesimo nei suoi passaggi essenziali e nelle logiche di collegamento sussistenti tra le varie scelte e le diverse operazioni che si intendono porre in essere, al fine di pervenire ad un giudizio finale di concreta attualizzabilità del piano di risanamento di sua conseguente idoneità a consentire il superamento delle criticità riscontrate e ad assicurare l’uscita dell’ impresa dallo stato di crisi.
Il giudizio finale del professionista attestatore deve avvenire attraverso la c.d. attestazione di “fattibilità” del piano.
Tuttavia secondo parte della dottrina, con riferimento al piano attestato di risanamento contemplato dall’art. 67 della Legge Fallimentare, una tale attestazione, pur non potendosi sic et simpliciter sostanziare nella sola dichiarazione delle conclusioni raggiunte dal professionista, non sembra dover necessariamente rivestire la forma solenne di una “relazione” approfondita ed illustrativa, contenente una sorta di commento del piano di risanamento e l’illustrazione dell’iter logico delle motivazioni poste a supporto delle conclusioni raggiunte.
E’ questa la differenza ricavabile, secondo parte della dottrina e alla stregua di un esame letterale del dato normativo, tra l’attestazione di “fattibilità” di un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare e l’attestazione di “fattibilità” del piano prevista per il concordato preventivo dall’art. 161 della Legge Fallimentare.
Infatti nell’art. 67, terzo comma, lettera d) della Legge Fallimentare dispone che il professionista indipendente “deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità dei piano”, senza fare riferimento ad una vera e propria relazione.
Invece, relativamente alla procedura di concordato preventivo, l’art. 161 della Legge Fallimentare nell’indicare la documentazione da allegare alla domanda di ammissione alla procedura concordataria dispone, al terzo comma, che “il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo”.
Pertanto è stato evidenziato che, nel piano attestato di risanamento di cui all’art. 67 della Legge Fallimentare, l’attestazione del professionista in ordine alla fattibilità del piano richieda un minor formalismo rispetto alle altre ipotesi di soluzione concordata della crisi d’impresa.
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Inoltre, sia pure con un ruolo di attestazione di contenuto diverso, tale figura ricorre anche nell’ipotesi degli “accordi di ristrutturazione” previsti dall’art. 182 bis della Legge Fallimentare.
Il compito del professionista di attestare, nel c.d. “piano attestato di risanamento” o nell’ipotesi di “concordato preventivo”, la c.d. “fattibilità” del piano di ristrutturazione predisposto dall’imprenditore in crisi sembra assumere un’intensità diversa a seconda della soluzione di composizione concordata della crisi d’impresa prescelto dall’imprenditore.
Infatti, anche all’esito della riforma della Legge Fallimentare introdotta con il d.l. n. 83/2012 (convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 7 agosto 2012), nell’ambito del “piano attestato di risanamento” previsto dall’art. 67, terzo comma, lettera d) il compito del professionista di attestare la fattibilità del piano sembra avere un contenuto di minore intensità e ciò in quanto a ben vedere, a differenza di quanto previsto in ordine alle procedure del “concordato preventivo” (art. 161 della L.F.), nella previsione dell’art. 67 della Legge Fallimentare non compare la necessità di compiere tale attestazione di fattibilità del piano di risanamento attraverso l’elaborazione di una vera e propria “relazione”.
Occorre premettere che il testo previgente dell’art. 67 della Legge Fallimentare, anteriore alla predetta riforma del 2012, relativamente al piano attestato di risanamento non prevedeva la necessità del professionista di attestare la “fattibilità” del piano, quanto piuttosto la sua “ragionevolezza”.
Il testo previgente dell’art. 67 della Legge Fallimentare (norma relativa all’azione di revocatoria fallimentare ma in cui è contemplata, tra le ipotesi di esenzione, anche quella dell’esecuzione di un piano attestato di risanamento) prevedeva espressamente, al terzo comma lettera d), l’esenzione dall’azione di revocatoria fallimentare per i pagamenti e gli atti posti in essere “in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il ripianamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501 bis, quarto comma, del codice civile”.
Originariamente, quindi, con riferimento all’ipotesi del piano attestato di risanamento di cui all’art. 67 della L.F. il compito del professionista era solo quello di attestare la “ragionevolezza” del piano di risanamento e, quindi, la sua complessiva coerenza e logicità, senza quindi dover estendere il suo esame anche alla c.d. “fattibilità” e quindi all’effettiva idoneità del piano di risanamento complessivamente considerato (le scelte che si vogliono compiere, le operazioni che si intendono porre in essere, i mezzi che si vogliono impiegare ecc..) al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, di risanamento dell’impresa e recupero del suo equilibrio patrimoniale, economico e finanziario.
Successivamente, per effetto della Legge di riforma introdotto con il d.l. n. 83/2012 e della conseguente modifica del testo dell’art. 67 della Legge Fallimentare, si è inteso sostituire il termine “ragionevolezza” con il diverso termine di “fattibilità” e, conseguentemente, si è voluto attribuire all’attestatore il compito di svolgere uno studio maggiormente approfondito del piano di risanamento, non limitato al solo esame della sua coerenza complessiva.
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Tuttavia secondo parte della dottrina, con riferimento al piano attestato di risanamento contemplato dall’art. 67 della Legge Fallimentare, una tale attestazione, pur non potendosi sic et simpliciter sostanziare nella sola dichiarazione delle conclusioni raggiunte dal professionista, non sembra dover necessariamente rivestire la forma solenne di una “relazione” approfondita ed illustrativa, contenente una sorta di commento del piano di risanamento e l’illustrazione dell’iter logico delle motivazioni poste a supporto delle conclusioni raggiunte.
E’ questa la differenza ricavabile, secondo parte della dottrina e alla stregua di un esame letterale del dato normativo, tra l’attestazione di “fattibilità” di un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare e l’attestazione di “fattibilità” del piano prevista per il concordato preventivo dall’art. 161 della Legge Fallimentare.
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