Sentenza di fallimento, l'amministratore è legittimato a impugnarla?
La Cassazione civile, con sentenza del 13/03/2019, n.7190, si pronuncia su un’importante questione processuale in materia di diritto fallimentare: la legittimazione dell’amministratore ad impugnare iure proprio la sentenza che dichiara il fallimento.
La corte si esprime in senso positivo sulla questione citando espressamente l’art. 18 della legge fallimentare il quale dispone che “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni”.
Gli ermellini motivano in riferimento all’inciso “qualunque interessato” affermando la sussistenza di un legittimo interesse dell’amministratore ad impugnare in quanto l’impugnazione de quo ha proprio la funzione di rimuovere gli effetti riflessi negativi che possano derivare dalla dichiarazione di fallimento. Detto ciò, la sentenza che dichiara il fallimento e senz’altro lesiva deli interessi dell’impugnante:
- Da un punto di vista morale, nel caso gli venga contestata la commissione di uno o più reati.
- Da un punto di vista patrimoniale, in relazione alle eventuali azioni risarcitorie proposte dai creditori.
Per tali ragioni l’amministratore della società è titolare dell’interesse ad agire richiesto dal codice di procedura civile (art.100 c.p.c.) ed è legittimato all’impugnazione della sentenza di cui si discute. Già precedente pronuncia aveva affermato la legittimazione ad impugnare di ogni soggetto che possa ricevere un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale, dalla sentenza di fallimento, attesa la sua natura dichiarativa “erga omnes” che comporta l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante e non di mero fatto in capo a chi possa ottenere una qualche utilità giuridica semplicemente per effetto della sua rimozione (Cassazione civile sez. I, 21/11/2018, n.30107).
Nel caso di specie il ricorso prende le mosse da una pronuncia della Corte d’appello di Bari che ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, il reclamo proposto dall’amministratore contro la dichiarazione di fallimento della S.r.l. in liquidazione, emessa dal Tribunale di Bari su richiesta del Pubblico Ministero.
Dott. Daniele Moccia
Sentenza di fallimento, l'amministratore è legittimato a impugnarla?
La Cassazione civile, con sentenza del 13/03/2019, n.7190, si pronuncia su un’importante questione processuale in materia di diritto fallimentare: la legittimazione dell’amministratore ad impugnare iure proprio la sentenza che dichiara il fallimento.
La corte si esprime in senso positivo sulla questione citando espressamente l’art. 18 della legge fallimentare il quale dispone che “contro la sentenza che dichiara il fallimento può essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni”.
Gli ermellini motivano in riferimento all’inciso “qualunque interessato” affermando la sussistenza di un legittimo interesse dell’amministratore ad impugnare in quanto l’impugnazione de quo ha proprio la funzione di rimuovere gli effetti riflessi negativi che possano derivare dalla dichiarazione di fallimento. Detto ciò, la sentenza che dichiara il fallimento e senz’altro lesiva deli interessi dell’impugnante:
- Da un punto di vista morale, nel caso gli venga contestata la commissione di uno o più reati.
- Da un punto di vista patrimoniale, in relazione alle eventuali azioni risarcitorie proposte dai creditori.
Per tali ragioni l’amministratore della società è titolare dell’interesse ad agire richiesto dal codice di procedura civile (art.100 c.p.c.) ed è legittimato all’impugnazione della sentenza di cui si discute. Già precedente pronuncia aveva affermato la legittimazione ad impugnare di ogni soggetto che possa ricevere un pregiudizio specifico, di qualsiasi natura, anche solo morale, dalla sentenza di fallimento, attesa la sua natura dichiarativa “erga omnes” che comporta l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante e non di mero fatto in capo a chi possa ottenere una qualche utilità giuridica semplicemente per effetto della sua rimozione (Cassazione civile sez. I, 21/11/2018, n.30107).
Nel caso di specie il ricorso prende le mosse da una pronuncia della Corte d’appello di Bari che ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione, il reclamo proposto dall’amministratore contro la dichiarazione di fallimento della S.r.l. in liquidazione, emessa dal Tribunale di Bari su richiesta del Pubblico Ministero.
Dott. Daniele Moccia
Recent posts.
Con la pronuncia n. 25472 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di danno da emotrasfusioni e, in particolare, sulla sussistenza della responsabilità non soltanto della struttura sanitaria ma anche del [...]
L'ordinanza n. 30079 della Corte di Cassazione, emessa il 21 novembre 2024 dalla Sezione Lavoro, si inserisce nell’ambito della giurisprudenza consolidata riguardante il licenziamento disciplinare e il diritto di accesso agli atti durante i procedimenti [...]
Con l’ordinanza n. 26184 del 7 ottobre 2024 la Suprema Corte di Cassazione si esprime sulla questione riguardante la responsabilità dei soci a seguito dell’estinzione della società. La fattispecie da cui trae origine la pronuncia [...]
Recent posts.
Con la pronuncia n. 25472 del 2024, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di danno da emotrasfusioni e, in particolare, sulla sussistenza della responsabilità non soltanto della struttura sanitaria ma anche del [...]
L'ordinanza n. 30079 della Corte di Cassazione, emessa il 21 novembre 2024 dalla Sezione Lavoro, si inserisce nell’ambito della giurisprudenza consolidata riguardante il licenziamento disciplinare e il diritto di accesso agli atti durante i procedimenti [...]