Fatture soggettivamente inesistenti, a chi spetta la prova?
La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9588/2019, ha risolto la ripartizione degli oneri probatori tra contribuente e Agenzia delle Entrate nel caso di contestazione di utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti.
Infatti “ove vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza”.
La pronuncia prende le mosse da una sentenza della CTR Lombardia, la quale aveva addossato in capo al contribuente l’onere di provare la legittimità e correttezza della detrazione ai fini Iva.
Contro tale statuizione il contribuente ricorre in Cassazione.
La Suprema Corte accoglie il ricorso ritenendo che gravi in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare l’oggettiva fittizietà dell’operazione e la circostanza che il contribuente, usando ordinaria diligenza, avrebbe dovuto accorgersi di aver contribuito a realizzare un’evasione d’imposta.
Solo dopo aver fornito tali prove, l’onus probandi si trasferirà, secondo gli Ermellini, in capo al contribuente, il quale dovrà dimostrare di aver assunto, in concreto la più alta diligenza a lui richiedibile, anche alla luce della professione ricoperta.
Luca Chiaretti
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