Affidamento esclusivo minori: non basta distanza oggettiva tra residenze genitori
“[..]alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore”.
Con queste parole si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I, con la sentenza n. 30826 del 28 novembre del 2018. Le vicende a cui la pronuncia si riferisce sono le seguenti: a ricorrere è un padre che lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.337 ter c.p.c., rubricato “provvedimenti riguardo i figli”, che riconosce agli stessi il diritto alla cd. bigenitorialità; lamenta inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art. 709 ter c.p.c. Con il primo motivo di ricorso, il padre della minore, chiede che a quest’ultima sia riconosciuta la possibilità di intrattenere rapporti con entrambi i genitori, in modo tale da consentire agli stessi di esercitare la responsabilità genitoriale congiuntamente.
Quest’ultima affermazione costituisce infatti una regola che può essere disattesa solo laddove ciò possa rappresentare un pregiudizio all’interesse stesso del minore. Il secondo motivo invece si basa sull’idea secondo cui la Corte d’appello avrebbe deciso senza adottare i necessari provvedimenti richiesti dalla legge, anche di coercizione indiretta, rispetto alla madre della minore che, secondo il ricorrente, avrebbe assolutamente condizionato la scelta della figlia minore di non intrattenere alcun rapporto col padre. In particolare poi, rendendo più difficoltoso il mantenimento di una frequentazione tra padre e figlia, in seguito al trasferimento di quest’ultima, insieme alla madre, dalla Sicilia a Milano.
I motivi di ricorso sono stati valutati dalla Suprema Corte come inammissibili, in particolare a causa di un errore nella formulazione del primo motivo, che si riferisce chiaramente alla valutazione del giudice di merito, certamente censurabile, ma dal punto di vista del vizio di motivazione. Nonostante ciò, la Corte ha enucleato, attraverso la trattazione di questo caso, un principio di diritto che vuole che non sia sufficiente considerare, ai fini dell’affidamento esclusivo del figlio minore ad uno dei genitori, la mera distanza intercorrente tra la residenza dei due.
Dovendosi invece considerare, in sede di determinazione di quale possa essere la soluzione più opportuna al caso di specie, elementi quali la capacità di un padre o di una madre di educare un figlio e nella loro idoneità a costituire un valido punto di riferimento nella vita di un soggetto che verrà privato, con il mancato riconoscimento della bigenitorialità, di una delle due persone fondamentali per la propria crescita. Inoltre, laddove un genitore denunci la condotta dell’altro come rivelatrice di una sindrome di alienazione parentale e voglia di conseguenza richiedere al giudice di rimettere in discussione le condizioni di affidamento, quest’ultimo dovrà necessariamente accertare la veridicità del fatto lamentato attraverso la produzione dei normali mezzi di prova.
Dott.ssa Martina La Vecchia
Affidamento esclusivo minori: non basta distanza oggettiva tra residenze genitori
“[..]alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore”.
Con queste parole si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I, con la sentenza n. 30826 del 28 novembre del 2018. Le vicende a cui la pronuncia si riferisce sono le seguenti: a ricorrere è un padre che lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.337 ter c.p.c., rubricato “provvedimenti riguardo i figli”, che riconosce agli stessi il diritto alla cd. bigenitorialità; lamenta inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art. 709 ter c.p.c. Con il primo motivo di ricorso, il padre della minore, chiede che a quest’ultima sia riconosciuta la possibilità di intrattenere rapporti con entrambi i genitori, in modo tale da consentire agli stessi di esercitare la responsabilità genitoriale congiuntamente.
Quest’ultima affermazione costituisce infatti una regola che può essere disattesa solo laddove ciò possa rappresentare un pregiudizio all’interesse stesso del minore. Il secondo motivo invece si basa sull’idea secondo cui la Corte d’appello avrebbe deciso senza adottare i necessari provvedimenti richiesti dalla legge, anche di coercizione indiretta, rispetto alla madre della minore che, secondo il ricorrente, avrebbe assolutamente condizionato la scelta della figlia minore di non intrattenere alcun rapporto col padre. In particolare poi, rendendo più difficoltoso il mantenimento di una frequentazione tra padre e figlia, in seguito al trasferimento di quest’ultima, insieme alla madre, dalla Sicilia a Milano.
I motivi di ricorso sono stati valutati dalla Suprema Corte come inammissibili, in particolare a causa di un errore nella formulazione del primo motivo, che si riferisce chiaramente alla valutazione del giudice di merito, certamente censurabile, ma dal punto di vista del vizio di motivazione. Nonostante ciò, la Corte ha enucleato, attraverso la trattazione di questo caso, un principio di diritto che vuole che non sia sufficiente considerare, ai fini dell’affidamento esclusivo del figlio minore ad uno dei genitori, la mera distanza intercorrente tra la residenza dei due.
Dovendosi invece considerare, in sede di determinazione di quale possa essere la soluzione più opportuna al caso di specie, elementi quali la capacità di un padre o di una madre di educare un figlio e nella loro idoneità a costituire un valido punto di riferimento nella vita di un soggetto che verrà privato, con il mancato riconoscimento della bigenitorialità, di una delle due persone fondamentali per la propria crescita. Inoltre, laddove un genitore denunci la condotta dell’altro come rivelatrice di una sindrome di alienazione parentale e voglia di conseguenza richiedere al giudice di rimettere in discussione le condizioni di affidamento, quest’ultimo dovrà necessariamente accertare la veridicità del fatto lamentato attraverso la produzione dei normali mezzi di prova.
Dott.ssa Martina La Vecchia
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